Deh, quando tu sarai tornato al mondo
e riposato de la lunga via,
seguitò ‘l terzo spirito al secondo,
Ricorditi di me, che son la Pia;
Siena mi fè, disfecemi Maremma,
salsi colui che ‘nnanellata pria
disposando m’avea con la sua gemma.
(Dante; Purgatorio V. Pia de Tolomei)
Tante sono le leggende che dalla notte dei tempi hanno reso la cittadina di Sovana un luogo misterioso, ricco di folklore. Basti pensare ai segreti del popolo etrusco, che tutto intorno alla città, tra i fossi Folonia, della Calesine e della Picciolana aveva costruito elaborati templi, opere enigmatiche e grandi necropoli. Alla Soana Etrusca si è sovrapposta la romanizzazione della città, e poi le storie di amori e tradimenti sotto la dominazione degli Aldobrandeschi o le vicende di Ildebrando da Soana e Matilde di Canossa, protagonisti 900 anni orsono nelle vicende tra Chiesa e Impero. Tra i tanti racconti popolari si ricordano la leggenda della carrozza d’oro della bella regina Antiglia; l’epico racconto di stampo carolingio della Mano di Orlando; le storie sulla calamita del monte Elmo, che attira in da ogni dove persone particolarmente sensibili; oppure le monete di San Mamiliano, realmente ritrovate sotto l’altare del santo, nello stesso luogo in cui per tanti anni i proprietari di una famiglia locale avevano custodito memoria di un tesoro nascosto. Leggende di Santi e di briganti, di miseria e di malaria, di ingiustizie e di buoni valori, che il popolo da sempre ha contribuito a salvaguardare dalle nebbie dei tempi. Ma c’è un’altra leggenda popolare ambientata nella Sovana medievale, raccolta nel periodo tra le due guerre da uno scrittore molto particolare, Mario Puccini, stimato fin dagli anni del Realismo e autore di numerosi romanzi, di novelle e di articoli giornalistici. Nasce a Senigallia nel 1887 e nel 1919 conosce Alessandra Simoncini di Ischia di Castro, partita per la cittadina adriatica dopo aver ottenuto il posto di maestra. Mario Puccini è rimasto sempre legato al borgo castrense e alla maremma tosco laziale, alla quale ha dedicato diversi scritti e romanzi brevi, editi tra gli anni venti e gli anni cinquanta. Tra le storie di uomini e di luoghi raccontate da Puccini è risultata particolarmente interessante la novella ambientata a Sovana, una storia per certi versi lugubre, oscura, certamente appresa dagli abitanti del luogo. Una storia di omicidi e maledizioni che lasciamo raccontare dalle parole dell’autore.
“A badare alla leggenda, come la tradizione la offre, le cose sarebbero andate così: Sovana, che allora contava molte migliaia di abitanti, non conduceva una vita quel che si dice esemplare. Ma che cosa volete? Era ricca, non mancava di nulla, il benessere già si sa che non è sempre apportatore di virtù, ma al contrario di vizi. Ora, il vescovo greco (lo si chiamava così, ma chissà chi era, donde veniva, cosa rappresentava nell’ordine politico e religioso della città) questa condotta disonesta dei sovanesi non riesce assolutamente a mandarla giù; e per un mese tace, per due si trattiene, ma ad un bel momento incomincia a sbottare,ne dice di cotte e di crude, attacca ora una, ora l’altra delle classi cittadine, come un Savonarola avanti-lettera. Dalle piazze, dai balconi, non c’è giorno che non scagli i suoi anatemi e le sue rampogne. I sovanesi per un po’ lo lasciano cantare e urlare; ma la pazienza è una virtù dei poveri, e loro, invece, erano ricchi. Ond’è che una bella sera pigliano il predicatore minaccioso, lo chiudono in una botte, e senza dargli nemmeno il tempo di dir amen, lo scaraventano da una delle ripe della loro città. Il vescovo greco morì, naturalmente; ma la leggenda non ha mai fatto morire un uomo di una tal quale prestanza senza farne o un martire o un eroe. Ed ecco: Sovana crede di essersi liberata di una voce che la molestava; ma il vescovo greco non è ancora arrivato in fondo al burrone che alle orecchie dei sovanesi un’altra voce giunge: e non si sa di chi sia, e non si capisce se cada dal cielo o venga su dalla terra, ma insomma tutti la sentono e non li rallegra davvero.
Infatti quella voce era minacciosa e terrificante prima di tutto come voce, e poi per quello che diceva. Diceva: “da oggi a Sovana nessun bambino che nasca potrà più vivere”. E da quel giorno una terribile moria invase tutte le case,un male ignoto colpiva i bimbi appena nati e subito li portava via. Nessuno scongiuro fu buono, nessun rimedio fu trovato, la triste malattia, tanti bambini nascevano e tanti ne strappava: sicché non passarono molti anni e Sovana cominciò a spopolarsi e a decadere, un’ombra di morte cadde e riempì le sue vie, le sue piazze, i palazzi, i campi, tutto decadde, le ricchezze sfumarono e la gioia di vivere con esse. Vera o non vera? Probabilmente, come tutte le leggende, anche questa nasconde un fondo di verità; ma, se si potesse arrivare fino al cuore degli evi oscuri, probabilmente si constaterebbe che quel vescovo greco impersona il fantasma di qualche peste scesa sulla città, improvvisa e distruttrice. E’ un fatto tuttavia che Sovana deve aver contato notevolmente nella vita della regione maremmana nei primi secoli del medioevo, se più volte la repubblica di Siena non riesce ad aver ragione di lei, se gli Orsini della vicina Pitigliano, pur prepotenti, la trovano sempre sulla loro strada nemica proterva e temuta. Una peste, o, forse, una sconfitta, o chi sa, qualche terremoto? Certo è che, ad un tratto, il ritmo della città, ieri pieno, fiorente, s’arresta, si spezza. Molte famiglie se ne vanno, altre decadono; sulla terra abbandonata dai lavoratori crescono rovi e le erbacce. La macchia prende presto il posto dei campi ieri lavorati e curati, e la malaria si addensa sulla zona, rimasta ormai con pochi animali e con pochi uomini.”(1953).