Tre giorni di festa a Pitigliano si parte il 17 marzo. Il mito del fuoco è pratica ancestrale, sin dalla scoperta della sua accensione passando per i vari miti delle popolazioni più antiche –Prometeo in testa tra i miti greci – fino alle pratiche pagane ereditate e trasformate poi dal cristianesimo. Il fuoco ha sempre rappresentato la purificazione: un passaggio dalle negatività alla rinascita. Ed è per questa ragione che molto spesso è stato usato un falò per celebrare i momenti dell’anno della rinascita. Celebrazioni legate alla vita contadina, che ancor più di oggi sentiva la ciclicità dell’esistenza.
In molte parti d’Italia e in tante altre zone del mondo ci sono cerimonie in cui il fuoco era ed è il protagonista, come una catarsi verso la morte che lascia il posto alla rinascita. Collocate spesso nei momenti di passaggio dalla fase invernale a quella primaverile dell’anno, con l’intento di scacciare i mali e propiziarsi una buona stagione. Spesso si bruciava un fantoccio, che rappresentava i mali da scacciare. Queste feste avvenivano all’inizio del nuovo anno agricolo, nella stagione dedicata a Marte, dio oltre che della guerra anche dell’agricoltura e della fertilità, simbolo di giovinezza. Questa pratica era ripresa da credenze ancor più vecchie, quelle dei culti dionisiaci in cui si ballava e beveva intorno ad un falò. Nel momento del passaggio dal paganesimo al cristianesimo la Chiesa si impossessò di molte delle pratiche già in uso trasformandole un po’. E così cambiò la prospettiva della rinascita all’equinozio di primavera e dedicando una festa proprio a San Giuseppe. Il 19 Marzo è rimasto come un momento di passaggio dagli elementi inerti i infecondi della natura alle forze di rinnovamento della primavera, non a caso marzo era anche il primo mese del calendario romano. E così dalla notte dei tempi si arriva sino ad oggi portandosi dietro tradizioni che in qualche modo si rinnovano e legano ancora l’uomo alla natura, l’uomo alla sua storia, l’uomo alla sua originalità. Molti i paesi che celebrano la festa di San Giuseppe con un falò e sicuramente celeberrima quella di Pitigliano.
Se ogni pitiglianese sa di cosa si tratta la festa di San Giuseppe – torciatori, fuochi, l’Invernacciu o “il puccio”, frittelle di riso – è possibile che non a tutti siano note le vicende e l’intera storia della festa. E così come accade quando ci si mette in viaggio, sul cammino si incontrano cose che non si immaginavano e si conoscono persone inaspettate, tale è il viaggio alla scoperta del nostro passato. Se si ha la possibilità di fare una piccola sosta presso la Biblioteca del paese ci si imbatte in libri che raccontano la storia del paese e ce n’è uno che è il più completo lavoro nel quale si schiudono informazioni assai interessanti: La torciata di San Giuseppe a Pitigliano. Festa e identità culturale in un comune della Maremma grossetana di Alexia Proietti.
Così la studiosa ha potuto individuare tre fasi della festa: quella attuale (dal ’95 in poi con tutti i cambiamenti avvenuti in questi anni), una fase di recupero (anni ’80) e quella precedente alla seconda guerra mondiale. È il fuoco che unisce la festa attuale a quella più antica, anche se i luoghi del paese interessati sono cambiati. La celebrazione si svolgeva all’inizio nel quartiere di Capisotto e nella vicina via cava di San Giuseppe dove i ragazzi e gli uomini andavano sin dalla mattina. Accadeva che i più piccoli andassero a rubare le canne dei vigneti per portarle sotto il masso tufaceo e incendiarle.
Poi con le difficoltà della seconda guerra mondiale si era dovuta interrompere. Era ripresa ma aveva dovuto interrompersi nuovamente intorno agli anni ’50-’60 probabilmente avvenuta in seguito allo spopolamento del paese a causa della mancanza di lavoro nel periodo del boom economico italiano. Ripresa poi nel 1980 sempre nel luogo originario: Capisotto. Ma in questa fase l’interesse del resto del paese crebbe, passando dall’essere una festa rionale ad una della collettività, per cui c’era bisogno di spazio maggiore per ospitare le persone sempre più numerose oltre che per evitare i danni delle fiamme alle case, visto che la Piazzetta dedicata a Becherini è molto piccola. Il posto ideale era dunque la Piazza del Comune e nel 1985 fu concessa a malincuore a causa del rifacimento della pavimentazione così l’anno seguente fu addirittura spostata nella parte nuova del paese – Piazza del mercato -, ma questa soluzione non poteva funzionare e così dal 1987 la Piazza è diventato il luogo adatto alla torciata. La processione dei torciatori è cambiata nel corso del tempo per facilitare il raggiungimento della Piazza. E ancora oggi questa festa si mantiene intatta con tutta la sua simbologia, la magia, gli aspetti più incomprensibili. E proprio come il ciclo che dettava il tempo ai nostri antichi ritorna ogni anno ad ergersi il fantoccio di paglia. E ritornano le persone ad incontrarsi nella piazza, arrivano nuove persone a stupirsi della bellezza del fuoco. E forse, al di là del fatto che ci si creda o no, ognuno in cuor suo spera che le fascine prendano bene fuoco e tutto arda nel migliore dei modi per augurarsi un nuovo anno un po’ migliore di quello precedente.
Elena Tiribocchi