Non far’, non far’, omè, non far’, Christina,
Tu guasti gli Dei nostri, pazzerella! Ah, forse tu non pensi, cervellina,
che non sappi tuo padre la novella.
Christina risponde e dice:
I’ vo’ per loro haver’ gloria divina, che buon’ per voi, se conoscessi quella!
Venite meco a pigliare el battesimo,
lassate il falso Giove e’l paganesimo!
La cristianizzazione dell’Etruria ha rappresentato storicamente un fenomeno complesso e di difficile compimento. In particolare il monoteismo evangelico ha fatto fatica ad imporsi proprio nell’area che si innalza intorno al bacino del lago di Bolsena. Questa difficoltà non è certo stata casuale, dal momento che il lacus Volsinii per gli antichi popoli italici, per i rinaldoniani e ovviamente per gli etruschi incarnava il centro del mondo. Dalle sponde del lago si estendeva in tutte le direzioni la dodecapoli, ovvero l’unione delle città stato, che ogni anno si recavano in questo luogo eletto come massimo sacrario universale per officiare i riti religiosi e a decidere sulle sorti comuni alla confederazione. Va da se che un tale legame non poteva essere affatto semplice da spezzare. Esistono infatti vi sono numerose fonti ritenenti che in pieno alto medioevo i riti etruschi continuassero ad essere perpetrati dalle genti della Tuscia. Ovviamente la teoria accademica che identifica la città di Volsinii in Orvieto, la quale con non poche forzature vi ha posto nientemeno che il Fanum Voltumnae, ha ormai rivelato enormi lacune. Invece i numerosi studi associati alle fonti storiche che collocano il santuario caro a cui tutti i popoli etruschi sulle sponde del lago di Bolsena sembrano risultare sempre più ricche di fondamenta. Nonostante gli incredibili ritrovamenti ottenuti in varie località sparse sulle colline intorno allo specchio lacustre, come ad esempio i templi di Turona e di Monte Landro, la sacralità tangibile dell’isola Bisentina, oppure le descrizioni di vari storiografi che riportano le caratteristiche fisiche e geografiche di Volsinii, o ancora le fonti che testimoniano la presenza a Bolsena di un tempio ormai perduto dedicato alla dea Nortia, gli accademici non hanno alcuna intenzione di mettere in discussione le presunte verità sull’ubicazione del Fanum Voltumnae. Anzi, a Orvieto, nell’area del Belvedere, come salta fuori una testa marmorea sembra per forza dover appartenere alla dea Voltumna. Anche la presenza della via Francigena o Romea, arteria di pellegrinaggio di origini antecedenti al cristianesimo è una prova ulteriore dell’importanza che già in epoca arcaica Bolsena e la val di lago dovevano rappresentare. E’ un fatto che nel II secolo d.C., durante l’ultima stregua resistenza di Volsinii alla forza conquistatrice di Roma, gli etruschi abbiano occultato tutte le indicazioni sui loro culti misterici, rendendole inaccessibili. Nonostante la prossimità della Tuscia con la città eterna prelati e inquisitori hanno impiegato diversi secoli per completare del tutto il passaggio dal paganesimo al monoteismo cattolico. Per affermare la nuova religione è stato necessario conservare i tratti cari ai precedenti culti, tanto che nei paesi che si specchiano sulle acque del lago è avvenuto che le celebrazioni in onore delle divinità fecondatrici delle acque si sono trasformate in celebrazioni della Madonna, così come molte storie si sono tramutate in mito. Ancora oggi, in particolare nel mese di maggio, si rinnovano quegli antichi culti di antiche origini pagane, dedicati alla Dea Madre, ai quali successivamente sono state sovrapposte le agiografie cristiane. E’ il caso del miracolo eucaristico e del Corpus Dominii a Bolsena o della Barabbata a Marta, perfetti esempi di sovrapposizione cristiana su culti precedenti legati al rinnovarsi della natura in primavera e all’abbondanza di prodotti che il lago e la terra offrivano alla popolazione. La stessa chiesa della Madonna del Monte è stata edificata sopra un edificio più antico, legato ai culti pagani, mentre la stessa ricorrenza, che ogni anno si celebra il 14 maggio, risulta connessa, secondo studi antropologici, quantomeno al culto della dea Feronia, associata alla protezione dei boschi e delle messi. Divinità paredra al dio Soranus, che dall’alto dei monti Cimini (Soriano) guarda il lago, compiendo i riti delle acque e della terra, uniti dai principi di fertilità e fecondazione. La lunga cristianizzazione dell’Etruria nelle sue varie fasi ha conosciuto non poche violenze e soprusi, come la persecuzione dei primi cristiani per mano di Diocleziano, o successivamente i processi e i relativi roghi ai danni di streghe, sibille e guaritrici perpetrati dalla Santa inquisizione, molti più che altrove. Santa Cristina a Bolsena è la figura che maggiormente ha determinato l’affermarsi del cristianesimo sui culti precedenti. Una figura divenuta universale nell’agiografia cristiana, raccontata in numerose versioni, la prima redatta in Egitto nel V secolo. La versione più celebre è quella scritta dal padre domenicano Jacopo da Varagine, inserita nella Leggenda Aurea del 1260, una raccolta delle vite dei Santi che all’epoca in Europa ha riscontrato un enorme successo. Ma a facilitare la diffusione delle vite dei santi nell’immaginario popolare, imponendone la devozione, più che i testi sono state le Sacre Rappresentazioni, una sorta di narrazioni teatrali impersonate dal popolo stesso, oppure ad opera di compagnie itineranti, che raccontavano le vite dei santi attraverso pose plastiche e canovacci standard, fruibili dalla gente comune. A Bolsena ogni anno nei giorni del 23 e 24 luglio questa pratica tradizionale torna a ripetersi, e su dei palchi di legno si ripropongono i misteri di Santa Cristina sotto forma di quadri animati che rappresentano le fasi del martirio. Originariamente chiamata Vorsinia, la santa incarna il martirio, pratica molto cara ai primi cristiani, i quali chiusi dentro le catacombe erano soliti narrare in forma stilizzata vite e gesta dei santi, tanto da rendere irremovibile in loro la convinzione che sarebbe stata meglio la morte piuttosto che il ritorno alle vecchie credenze. Di seguito il racconto tradotto dalla versione di Jacopo da Varagine.
“Cristina, fanciulla di nobile famiglia, nacque a Tyro in Italia (la città di Tyro sorgeva sulle pendici intorno al lago, tra Grotte di Castro e San Lorenzo Nuovo; scomparsa insieme alla civiltà etrusca, era una città potente, che attualmente resta celata sotto una fitta vegetazione). Cristina era bellissima e molti la desideravano per moglie, ma i genitori rifiutavano ogni proposta di matrimonio, avendo deciso di consacrare la figlia al culto degli dèi; il padre, infine la chiuse in una torre con dodici ancelle e molte statue di idoli, d’oro e d’argento. Ma Cristina, istruita dallo Spirito Santo, aveva in orrore il culto degli dèi e gettava dalla finestra l’incenso che avrebbe dovuto bruciare in loro onore. Un giorno dissero le ancelle al padre: “La figlia tua, nostra padrona, non vuole sacrificare agli dèi e afferma di essere cristiana”. Il padre, allora, dolcemente cercò di convincerla, ma quella: “Non mi chiamare tua figlia, ma figlia di colui a cui è lecito tributare il sacrificio di lode; poiché io non offro sacrifici agli dèi, ma al Dio che è nel cielo”. E il padre: “Figlia mia, non offrire sacrifici ad un sol dio, che gli altri non abbiano ad adirarsi contro di te!”. E quella: “Hai parlato bene, dal momento che non conosci la verità: io, infatti, offro sacrifici al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo”. E il padre: “Tu adori tre dèi, perché non adori anche gli altri?”. E quella: “Sono tre, ma fanno una sola divinità”. Dopodiché Cristina spezzò gli idoli del padre e distribuì l’oro e l’argento di cui erano formati fra i poveri. Quando il padre tornò nella torre per vedere se la figlia venerava gli dèi, non li trovò più e seppe dalle ancelle quello che Cristina ne aveva fatto. Comandò allora che fosse spogliata e battuta da dodici servi, i quali eseguirono l’ordine fino a che non gli vennero meno le forze. Cristina disse al padre: “Uomo senza onore né pudore, odiato da Dio, coloro che mi battono sono ormai senza forze e nessuno dei tuoi dèi sarebbe capace di restituirgliele”. Allora il padre ordinò che fosse incatenata e chiusa in prigione.
Quando la madre seppe tale notizia si strappò le vesti, andò nel carcere dove si trovava Cristina e le si prostrò ai piedi dicendo: “Figlia mia Cristina, luce dei miei occhi, abbi pietà di me!”. E quella:“Perché mi chiami figlia tua, dal momento che io porto il nome del mio Dio?”. Infine la madre, non potendo persuaderla, tornò dal marito e gli riferì le risposte della figlia. Allora il padre comandò che Cristina fosse portata dinanzi al tribunale e le disse: “Sacrifica agli dèi se non vuoi essere crudelmente tormentata e cessare di essere mia figlia!”. E quella: “Mi hai accordato un gran favore non chiamandomi figlia del diavolo, perché dal diavolo non può nascere che un demone”. Il padre, infuriato, ordinò di straziarle le carni con unghie di ferro e di farle a pezzi ogni membro; ma Cristina prendeva i pezzi della propria carne e, gettandoli in faccia al padre, diceva: “Prendi, tiranno, e mangia la carne che hai generato!”. Allora il padre la fece porre su una ruota, fece poi attizzare un gran fuoco con l’olio, ma la fiamma divampando uccise millecinquecento pagani.
Il padre, che attribuiva tutti questi miracoli alle male arti della figlia, di nuovo la fece condurre in carcere e, giunta la notte, comandò i suoi servi che le legassero una pietra al collo e la gettassero in mare. Ma ecco che gli angeli la sollevarono nelle loro braccia e Cristo stesso discese fino a lei battezzandola con queste parole: “Io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Poi la affidò all’arcangelo Michele, che la riportò a terra. A tale notizia il padre si percosse la fronte e disse: “Di quali male arti ti servi per domare anche i flutti del mare?”. E quella: “Uomo stolto e infelice, è Cristo che mi fa tali grazie!”. Allora il padre ordinò che fosse di nuovo chiusa in un carcere e decapitata il giorno dopo; ma nella stessa notte il crudele padre, che si chiamava Urbano, fu trovato morto. Ebbe come successore un giudice non meno iniquo di nome Elio, il quale fece immergere Cristina in un caldaione bollente colmo d’olio, resina e pece, e ordinò a quattro uomini di agitarlo. Ma Cristina lodava Iddio nella caldaia e lo ringraziava perché, nata or ora alla fede, le permetteva di essere dolcemente cullata. Allora il giudice, irato, fece radere il capo della santa e ordinò che fosse condotta nuda fino al tempio di Apollo. Non appena vi fu arrivata l’idolo cadde a pezzi in terra. A tale notizia il giudice dallo spavento morì. Gli successe Giuliano, che fece accendere una fornace per gettarvi Cristina; qui la fanciulla rimase per cinque giorni in compagnia degli angeli, senza soffrire alcun male. Quando Giuliano seppe ciò ascrisse il miracolo alle male arti della fanciulla e comandò che le fossero gettati addosso due aspidi, due vipere e due colubri; ma le vipere le si arrotolarono ai piedi, gli aspidi le circondarono il seno e i colubri le leccarono il sudore intorno al collo. Disse qualcuno a un incantatore: “Serviti delle tue arti per eccitare quelle bestie!”. Ma le bestie si rivoltarono contro l’incantatore e lo uccisero. Allora Cristina comandò ai serpenti di andarsene nel deserto, poi resuscitò il morto. Allora Giuliano ordinò di strappare le mammelle della fanciulla, da cui sgorgò latte invece di sangue. Infine le fece tagliare la lingua, ma Cristina per questo non perse la parola, e prendendo un pezzo della sua lingua la gettò in faccia a Giuliano, che fu percosso in un occhio e subito perdette la vista.
Infine Giuliano fece trafiggere la fanciulla con due frecce nel cuore e una nel fianco. In tal modo Cristina rese l’anima a Dio all’incirca nell’anno del Signore 297, sotto il regno di Diocleziano. Il corpo della santa riposa in una città fortificata, che si chiama Bolsena, fra Civitavecchia e Viterbo. Tiro, che si trovava vicino a Bolsena, è stata distrutta dalle fondamenta.
L’eroismo e la determinazione dell’undicenne Cristina rappresentano la forza dirompente della nuova religione cristiana, in una zona che ancora in pieno medioevo mantiene profondi legami con la sacralità della natura, e che oppone resistenza al processo di conversione al monoteismo. La maniera più efficace è stata quella di legare la vita della santa a quelle immagini sacrali legate all’immaginario popolare, tanto che Cristina essendo sopravvissuta all’affogamento viene identificata come figura protettrice delle acque. A decretare la devozione universale a Santa Cristina è stata poi Matilde di Canossa, che nel 1084 insieme a Papa Ildebrando da Soana riporta a Bolsena le spoglie della giovinetta, nascoste dai paesani sull’isola Martana per celarle ai popoli invasori. La nobildonna ha partecipato a rendere universale il culto di Vorsinia, facendo realizzare gli ampliamenti della cattedrale, divenuta uno dei poli principali della cristianità. Anche la basilica e le catacombe rappresentano il sovrapporsi dei culti a Bolsena. Infatti le catacombe erano nient’altro che ambienti ipogei etruschi, dove per’altro i ritrovamenti di reperti sono stati importanti, tanto che vi è stata identificata la presenza di un tempio. Per rendere ancora più forte la sovrapposizione del culto cristiano in quei luoghi alla città di Bolsena è stato legato anche il miracolo eucaristico, ma questa è un’altra storia.