Di tombaroli e sovrintendenti in quel di Pitigliano all’inizio del Novecento
Era il 4 novembre 1911 quando il Sovrintendente ai Musei e Scavi d’Etruria inviava al Regio Ispettore Onorario ai Monumenti e Scavi di Pitigliano e Manciano, Prof. Evandro Baldini, una lettera in cui, dopo i ringraziamenti di rito per le informazioni ricevute “su codesto territorio”, raccomandava il pugno duro nella lotta contro gli scavi illegali per “prendere i contravventori sul fatto e poscia denunciarli all’Autorità Giudiziaria. Ella potrà intanto interessare i RR Carabinieri affinché esercitino una vigilanza nelle loro perlustrazioni anche per i contravventori alla legge sulle Antichità” [1], cioè la n. 364 del 20 giugno 1909.
Così l’Ispettore pitiglianese, uomo erudito e rigoroso, allertò i RR Carabinieri di Pitigliano invitandoli a “intensificare la loro vigilanza onde impedire i lavori che abusivamente si eseguiscono allo scopo di ricerche archeologiche [2]”. Di seguito, poi, indicava numerose località dove adempiere una maggiore sorveglianza: tutta la campagna di Sovana, specie nelle zona del Mandrione, del Pischeretto e di Poggio Stanziale; Poggio Buco, presso il ponte sul Fiora; la zona della Roccaccia, ossia Rimpantone in prossimità del Rio Maggiore, Podere la Grascia, Fontanile di Valderico e Pian di Luce; le campagne di Pian di Morrano, Valle Cupa e Naioli; infine vicino a Pitigliano, sotto il Cimitero Israelitico e lungo il corso del torrente Meleta, attiguo al Gradone. Baldini forniva agli uomini della Benemerita anche gli indizi necessari per individuare gli abusi, perché “le tombe antiche del nostro territorio sono quasi sempre a camera. Sono scavate nel tufo, più che altro si rinvengono da coloro (scavini, campagnoli ecc.) che scavano grotte entro la roccia medesima. Non è difficile, anche a distanza, riconoscere lavori effettuatisi per la ricerca di antiche tombe. Essendo esse riempite di terra accumulatasi per il deposito di lente infiltrazioni, all’atto della esplorazione questa terra, il più delle volte di consistenza argillosa, spicca sul terreno comune con un colore visibilmente più scuro e, osservata da vicino, può presentare grumi impastati… [3]”. Infine l’ispettore trasmetteva i nomi di alcuni noti tombaroli della zona,“coloro che per il passato eseguirono scavi archeologici”, originari di Pitigliano, Sovana e San Giovanni delle Contee.
L’opera di controllo del territorio continuò negli anni successivi e durante la Grande Guerra, periodo in cui la documentazione in nostro possesso non contempla episodi legati all’uso notturno dello spillone, della pala e del piccone nelle note località etrusche sopra elencate.
Nell’immediato dopoguerra, però, i vasi etruschi “tornarono a girare”, addirittura anche sopra un carro parcheggiato nel cuore della “Piccola Gerusalemme”, mentre il proprietario sedeva tranquillamente al tavolo di un’osteria assieme ad altri avventori. L’uomo, di cui non riferiamo l’identità, abitava in una località dove i nostri antenati Etruschi edificarono una cittadina destinata ad avere una certa importanza in val di Fiora. Pare che il contadino, perché questo era il mestiere del pitiglianese, non fosse consapevole del rischio che correva trasportando sulla propria vettura ciò che aveva riesumato. Almeno questo è ciò che volle far intendere nell’immediato e in tempi successivi, ma nessuna scusa convinse il Regio Ispettore di Pitigliano che, avvisato del particolare carico e del vetturale “parcheggiato” a sorseggiare vino, non esitò a recarsi sul luogo per sequestrare le antiche suppellettili e interrogare il malcapitato. Non solo. Un funzionario del calibro di Baldini non poteva credere che quella fosse l’unica refurtiva e per questo predispose una visita presso l’abitazione dell’uomo che, probabilmente spaventato, aveva rivelato di avere altri oggetti a casa, recuperati, ma casualmente, per carità, nella sua proprietà.
Scortato da due tutori dell’ordine, il tenente Serz, che poi ricevette un encomio, e il carabiniere Puggioni, a cui fu conferito un premio di 100 lire [4], Evandro Baldini raggiunse l’abitazione del contadino, dove sequestrò vasi etruschi e greci, poi depositati presso il Museo Civico di Pitigliano. Era il 23 dicembre del 1921. Le spese sostenute per l’operazione di recupero ammontarono a 65 lire: vettura, soggiorno, cioè colazione per l’Ispettore e i due militi, noleggio di ceste, corde e trasporto vetturale [5].
Il contadino, dal canto suo, l’aveva presa proprio male, poiché dopo il sequestro si era recato presso la caserma dei carabinieri per sostenere la sua buona fede, la casualità della scoperta archeologica e per protestare del trattamento ricevuto, “dimentico di ogni buon riguardo adottato a suo benefizio”, come scrisse Baldini, che ritenne opportuna una denuncia alla Pretura di Pitigliano contro l’uomo [6], accusato di violazione dell’articolo 18 della legge 20 giugno 1909 n. 364 [7]. La denuncia fu effettivamente presentata e la questione si sarebbe risolta legalmente solo dopo 4 anni. Al momento, però, cioè qualche giorno dopo il sequestro, al contadino non rimanevano molte possibilità. Comprese che insistere nelle rimostranze sarebbe stato controproducente, mentre un atto di donazione dei beni rinvenuti al Museo Civico locale gli avrebbe risparmiato la ben più grave accusa di scavi abusivi e illecito commercio di antichità. E così fu. Il 28 dicembre 1921 il Soprintendente d’Etruria Luigi Pernier scriveva a Baldini per comunicargli che a seguito “del regolare atto di donazione da parte del […] non è più il caso di tornare sopra la questione”. Tuttavia Pernier suggeriva a Baldini di conservare “nel suo archivio d’Ispettore locale la denuncia che il predetto sig. […] fece a codesto Tenente dei Carabinieri circa la scoperta fortuita di questi ultimi tempi. A lei inoltre non mancherà il modo di spiegare eventualmente al […] stesso che il liberale atto da lui compiuto per dimostrare la sua correttezza ed il suo disinteresse in materia di scavi e ritrovamenti fortuiti, non è di quelli che possono venir revocati per inconsulti postumi pentimenti o per istigazione di terzi [8]”. La questione finì, come si è detto, con la cessione gratuita dei beni recuperati, in parte al Museo Archeologico di Firenze, in parte a quello di Pitigliano. A chiudere definitivamente la vicenda giunse la sentenza del 17 agosto 1925, con la quale la Pretura di Pitigliano assolveva il contadino per amnistia del reato di violazione dell’ art. 18 della legge 364/1909 [9].
L’evento, che abbiamo ricostruito con documentazione inedita, fu abbastanza noto in val di Fiora, ma non valse a dissuadere gli scavatori clandestini dalla loro pratica illegale. Infatti, il 30 ottobre del 1924, il Soprintendente Antonio Minto, avvisato da Baldini, allertava a sua volta, con una nota urgente, la Prefettura di Grosseto circa i loschi movimenti di un noto antiquario, un certo G. F., visto “provenire dalla località di Poggio Buco recando un bagaglio nel quale si sospetta fossero contenuti oggetti antichi di scavo [10]”. Come per il passato, si metteva in guardia la Tenenza dei carabinieri, invitando i militi a esercitare una rigorosa sorveglianza del territorio pitiglianese.
Intanto il Regio Ispettore Baldini, riconfermato nella carica per il triennio 1927-1930 per i Mandamenti di Manciano e Pitigliano, e poi ancora per quello successivo, continuava, imperterrito, la sua opera di controllo. Nel 1931 comunicava ai superiori che nella sua giurisdizione “non esistono Siciliani che abbiano comprato tenute e che abbiano eseguito scavi clandestini… [11]. Nel 1933 Baldini dovette diffidare un cittadino pitiglianese, che nella Valle del Meleta era intento a improbabili lavori agricoli, cioè a un’impresa che “ha ormai tutto il carattere di abusiva ricerca archeologica [12]”. Era lo stesso soggetto che il 18 agosto di quell’anno aveva “fortuitamente” trovato una tomba a camera nella medesima località, contenente una decina di vasi etruschi, oggetti e frammenti vari, ovviamente sequestrati dal ligio Ispettore.
Probabilmente questa fu l’ultima azione repressiva di Baldini prima del suo trasferimento a Firenze, avvenuto intorno alla metà degli anni trenta del Novecento. Da allora i tombaroli non hanno più osato violare con lo spillone le aree sacre degli antichi Rasenna che, si dice, riposano del tutto indisturbati nel grembo della madre terra, fra le vie cave e i costoni tufacei circostanti. Ma, a ben vedere, sono in pochi a crederci.
Franco Dominici
NOTE
[1] Lettera del Soprintendente ai Musei e Scavi d’Etruria al Regio Ispettore Onorario ai Monumenti e Scavi Prof. Evandro Baldini del 4 novembre 1911.
[2] Lettera dell’Ispettore ai Monumenti e Scavi di Pitigliano, Prof. Baldini, alla Stazione dei CC di Pitigliano del 23 giugno 1912.
[3] Ibidem.
[4] Lettera del Soprintendente ai Musei e Scavi d’Etruria Luigi Pernier ad Evandro Baldini del 16 febbraio 1922.
[5] Lettera di Evandro Baldini al Soprintendente dei Musei e Scavi d’Etruria Luigi Pernier del 26 dicembre del 1921.
[6] Lettera di Evandro Baldini al Soprintendente Luigi Pernier del 24 dicembre 1921.
[7] L’art. 18 della legge in questione recitava quanto segue: “ Tanto il fortuito scopritore di oggetti di scavo o di resti monumentali, quanto il detentore di essi debbono farne immediata denuncia all’autorità competente e provvedere alla loro conservazione temporanea lasciandoli intatti fino a quando non siano visitati dalla predetta autorità. Trattandosi di oggetti di cui non si possa altrimenti provvedere alla custodia potrà lo scopritore rimuoverli per meglio guarentirne la sicurezza e la conservazione fino alla visita di cui sopra. Il Ministero della pubblica istruzione li farà visitare entro trenta giorni dalla denuncia. Delle cose scoperte fortuitamente sarà rilasciata la metà o il prezzo equivalente, a scelta del Ministero della pubblica istruzione, al proprietario del fondo, fermi stando i diritti riconosciuti al ritrovatore dal Codice civile verso il detto proprietario”.
[8] Lettera del Soprintendente ai Musei e Scavi d’Etruria Luigi Pernier a Evandro Baldini del 28 dicembre 1921.
[9] Lettera del Soprintendente alle Antichità dell’Etruria Antonio Minto al prof. Baldini del 19 dicembre 1932.
[10] Lettera del Soprintendente A. Minto al Prefetto della Provincia di Grosseto del 30 ottobre 1924.
[11] Lettera di Evandro Baldini al Soprintendente alle Antichità d’Etruria dell’11 luglio del 1931.
[12] Lettera di Evandro Baldini a un pitiglianese del 15 ottobre 1933.
Tutta la documentazione citata proviene dall’archivio personale dell’autore dell’articolo.