La notizia della scomparsa di Giovanni Feo ci ha lasciati senza parole. Non lo conoscevamo così bene eppure ci è sembrato che fosse una di quelle persone che basta sfiorarle appena, perché ti lascino addosso una sensazione di amicizia e di empatia.
Lo abbiamo scoperto leggendo tra le righe dei suoi libri, scientifici e appassionati allo stesso tempo. E che continueremo a leggere per arricchirci ancora un po’. Lo dobbiamo ringraziare perché scegliendo la nostra terra come casa e anche come luogo di studio ci ha fatto spesso rendere conto di quanto fosse ricca e preziosa; lui che per primo la amata e ha provato spesso a salvaguardarla più di quanto spesso abbiano fatto le persone del posto. I suoi studi ci hanno raccontato il primitivo nello snodo della storia. La cultura che sgorgava da ogni sua frase ci ha fatto sentire orgogliosi di appartenere a questa strana razza che sono gli umani e di sicuro ci ha incentivati a scoprire di più, fare di più, impegnarci di più.
Passeggiare con lui a Poggio Rota in una mattina di qualche anno fa mi aveva permesso di scoprire molto della terra in cui sono nata. Le sue teorie erano affascinanti e meritavano di essere ascoltate. Avrebbe voluto che ci fosse più cura e attenzione a quei siti a cui aveva dedicato tante ore di studio; non sempre è stato ascoltato. Ma di certo non ha mai mollato e ha continuato a scrivere e raccontarci di quei popoli arcaici che sono in qualche modo dentro al nostro DNA. Lo dobbiamo ringraziare per la disponibilità, per averci permesso di ascoltarlo e di guardare dal suo stesso punto di orizzonte, anche se ci rendiamo adesso conto che avremmo dovuto conversare di più con lui e farci raccontare ancora qualcosa perché poi il tempo fa il proprio corso e a noi restano solo brandelli di ricordi…
Questo è un articolo uscito dopo una prima passeggiata a Poggio Rota, che risale ormai al 2014, ma che crediamo sia un buon modo per ricordarlo.
Passeggiata a Poggio Rota
Alcune settimane fa ho incontrato il signor Giovanni Feo, studioso che ha scoperto il sito archeologico di Poggio Rota (presso Pitigliano), colui che per primo ha sentito che quel posto era molto di più che un semplice ammasso di rocce, disposte per caso in quel modo. Siamo partiti ma la distanza con il paese è veramente breve e dopo poche battute per conoscerci siamo potuti scendere e proseguire a piedi. C’è da salire per alcuni metri su una stradina sterrata e attraversare un campo ed è già emozionante calpestare la terra umida e affondare il piede nell’erba, quando ormai si è abituati a calpestare sempre mattoni cittadini. Lo spettacolo che si apre dopo pochi istanti è bellissimo. Si arriva all’ingresso di questo che probabilmente è stato un osservatorio astronomico e forse un tempio sacro. Ti trovi di fronte un gruppo di massi, che non è facile decifrare se non hai un occhio esperto.
Ho ascoltato il flusso di racconti del signor Giovanni, che di storie e di episodi è pieno riguardo questi luoghi e alle popolazioni che probabilmente lo hanno costruito; si ipotizza appartenga alla “cultura“ di Rinaldone e poi passato agli etruschi. Lui fu il primo a pensare che ci fosse la mano dell’uomo in quella particolare disposizione delle rocce. Vi sono quattro enormi megaliti, in forma di quadrilatero. Si accorse subito che la pietra presentava dei segni, che stentava a credere fosse l’usura del tempo ad aver formato.
In seguito chiese la consulenza di altri studiosi, primo fra tutti un geologo che confermò l’idea di un’azione antropomorfa su quelle pietre. E da quel momento molti altri ricercatori sono stati consultati; sono partite misurazioni e approfondimenti, che hanno dimostrato l’importanza di questo sito per lo studio delle civiltà pre-etrusche ed etrusche. Accanto a quei megaliti ti senti piccolo in confronto alla natura. Posare una mano sulla roccia, percependo l’umido del sottile strato di muschio a contatto con la pelle è il modo per farne parte. È incredibile pensare che gente che noi consideriamo primitiva abbia saputo costruire e pensare cose di questo tipo, immaginando poi che probabilmente sotto la terra di riporto c’è tutto un mondo da scoprire. Infatti si suppone che quei megaliti siano almeno il doppio e chissà cos’altro si potrebbe scoprire.
Pensare quindi che quella gente veniva ad osservare il cielo, a fare sacrifici, ai piedi di massi di almeno tre-sei metri, dei giganti di roccia è un modo per comprendere che l’uomo di oggi vive in un mondo più evoluto, ma l’Uomo non è poi così diverso.
Insieme a Giovanni Feo mi sono spostata intorno alle rocce; ho osservato l’orizzonte come facevano gli antichi. Purtroppo non ho potuto vedere il sole al tramonto, perché il sito serviva proprio a questo: catturare il sole nei periodi di solstizio ed equinozio al tramonto. Ho visto coppelle, simboli di fertilità e probabilmente di sacrifici; ci sono tagli che indicano i punti cardinali e ancora una struttura che forse serviva da meridiana; buchi che ipoteticamente rappresentavano costellazioni. Insomma un mondo che può essere appassionante e che se si ha tempo e voglia di studiare potrebbe raccontarci molte cose di noi stessi. Osservando le montagne all’orizzonte, antico punto di riferimento; scoprendo che il posto è legato all’acqua, il fiume Fiora scorre proprio sotto e in antichità si suppone che il terreno fosse completamente coperto d’acqua; pensare che tutto questo era fatto per osservare il cielo, rende esplicita la distanza che si è creata oggi tra l’uomo e gli elementi naturali, in confronto al legame strettissimo che avevano gli antichi.
Ma lo stato di crisi in cui siamo immersi oggi potrebbe essere mutato se si riuscisse a ritrovare un legame con la Natura. Se potessimo finalmente capire che siamo una parte di un tutto, che ci sono cose inferiori e superiori e noi siamo in mezzo. Forse l’unica cosa che potremmo fare è rispettare ciò che è essenziale per la nostra sopravvivenza, che è e resta migliore.
L’importanza storica di Poggio Rota è stata riconosciuta da esperti e per Pitigliano sarebbe una grande sfida e una grande vittoria poter mettere in sicurezza questo sito e incentivarne lo studio.
Lo si è chiesto alle autorità che come al solito non hanno dato risposte concrete. Ma il sito fa parte di quei luoghi insieme alle Vie cave che potrebbero diventare patrimonio dell’umanità, perché qualcuno vi ha visto la bellezza e la possibilità di migliorare la vita delle persone recuperandone la memoria.
Basterebbe per il momento anche solo intervenire sulla manutenzione, perché i massi di tufo si stanno disgregando e se non si corre ai ripari questi luoghi scompariranno con tutto quello che di prezioso conservano.
Molto più bello sarebbe poterne incentivare lo studio e la ricerca e un giorno poterli rendere accessibili e conosciuti a molte più persone, nel rispetto e nella salvaguardia del luogo; sarebbe da un lato un arricchimento turistico e dall’altro un grande arricchimento culturale per i locali e per coloro che arriveranno in paese.
Elena Tiribocchi