Nei giorni di pausa forzata molti hanno riscoperto il piacere di leggere. Molti hanno pubblicato sulle proprie pagine social i libri che finalmente potevano leggere o tanti altri hanno ripreso in mano le pagine che erano state già studiate un tempo ma che proprio in questi giorni possono essere riaffrontate.
Una scoperta, che non è poi una scoperta, è stata per me la lettura di un romanzo di Alberto Manzi. Tutti conoscono il maestro di “Non è mai troppo tardi”, molti conoscono il libro più famoso “Orzowei” ma di Manzi ci sono molti altri testi che varrebbe la pena conoscere e diffondere. Come “E venne il sabato” un romanzo che parla di educazione, di libertà, di diritti. È stata una lettura affascinante, dettata dal ritmo narrativo e una storia piuttosto avvincente che lo rende adatto anche ai giovani lettori.
A Pura, piccola città amazzonica, la popolazione è costretta a lavorare in condizioni di schiavitù per l’Amazon Company. Altrettanto oppressi sono i reclusi, in gran parte per motivi politici, della prigione che sorge ai margini della città, e tutti i naturales che vivono nelle campagne. Imponendo “la legge”, i “signori in nero” rappresentanti della Compagnia reprimono nel sangue ogni atto di ribellione. Ma la gente di Pura sa, grazie all’aiuto di Don Juanpablo e di Don Julio, alla rabbia interiore della giovane Nàiso, all’ingenuità del vecchio Gongo, alla sensibilità delle donne, che solo la solidarietà, la resistenza passiva, la rivolta non violenta, l’educazione e la scuola la porterà a riconquistare la dignità. I personaggi sono numerosi e si rimane colpiti dalla forza di molti di loro. Durante il dispiegarsi delle pagine si rimane colpiti di come la verità sia facilmente manipolabile da chi detiene il potere. Poi pian piano i personaggi iniziano a pensare, si confrontano, parlano e studiano fino a quando non si liberano.
I sacrifici per la liberazione sono di molti ma alla fine, se pure il prezzo è alto, la libertà e il senso di umanità e dell’amore hanno la meglio. Il libro prende spunto dall’esperienza reale del Maestro che passò diversi periodi di tempo dagli anni ’50 agli anni ‘70 in sud America e si prodigò per lo studio delle popolazioni indigene, che venivano sfruttate.
Un piccolo estratto
“La gente del nono villaggio guardò Felipe.
-Che ti hanno detto a Pura?
– Niente. Hanno detto: ogni altro sono io. È quello che abbiamo fatto. Chi vuole, può fare diversamente.
Sorrisero. E vicino alla palude, ai loro campi, gli unici che il “signore della terra” aveva un tempo ceduto loro, solo perché era una palude, ognuno aiutò gli altri a costruire una baracca di legno, canne e fango. Tutti insieme. Furono sorpresi di scoprire che occorreva meno tempo per costruire cento baracche tutt’insieme che per alzarne una da soli.
Non servivano parole per spiegare”.