I libri Effigi su Manciano, Pitigliano, Sorano.

La primavera nella Maremma di Mario Puccini

DSC_6650

“E a quel modo che fui verghiano anche prima di aver letto Verga, così fui anti-dannunziano prima di aver letto D’annunzio”

Quanti autori nei primi anni del novecento hanno errato per l’Italia centrale col desiderio di assaporare la purezza della civiltà contadina. Famelici di storie alle quali cambiare i nomi dei personaggi, di luoghi ammantati di rovi, di borghi sopiti dalla neve in inverno e pieni di vita in estate. Era dura la Maremma a quei tempi, la malaria regnava ancora e ogni giorno la fatica del lavoro nei campi pareva insostenibile. Eppure il villano pareva dotato di una forza e di una costanza superiori ai comuni, e la sera c’era ancora la voglia di vegliare davanti al fuoco, di andare a visitare i vicini nei poderi vicini, di cantare in ottava rima, di seguire lungo i vicoli le fraschette poste agli angoli, fino a trovare un cantiniere che metteva cannella. Mario Puccini era uno di questi scrittori erranti, famelici di stralci di vita, di primavere, di racconti e di odori di stagione. Originario di Senigallia nel 1910 conobbe Alessandra Simoncini, giovane maestra di ruolo nella cittadina adriatica, ma originaria di Ischia di Castro, che divenne poi sua moglie. Grazie a lei conobbe il piccolo paese castrense e per tutto il resto della vita vi trascorse le vacanze nel borgo, letteralmente incantato dalla grande mole di sensazioni e sentimenti che qui vi si respiravano. La riviera adriatica era un luogo tranquillo “con le colline ben pettinate”, mentre la Maremma era la terra ideale per chi sentisse il desiderio di un’avventura ancora da romanzare, di personaggi che stavano passando a leggenda, come il brigante Domenico Tiburzi. Ce n’erano di storie e di luoghi da ascoltare, dalla caduta di Castro alle leggende di Sovana, dalle tombe etrusche all’impenetrabile selva del Lamone. Bastava avventurarsi in campagna per trovare fiumi in piena, forre profonde, antichi sepolcri e castelli diruti, oltre a qualche rara capanna di pastori. Dedicò un notevole impegno artistico alla Maremma, cantandola in numerosi romanzi brevi, traendone altresì ispirazione per i suoi romanzi sociali di scuola verista. La moglie era imparentata con la famiglia Mida, di origine albanese, una tra le più abbienti nel borgo di Ischia di Castro, già di per se una storia affascinante da ascoltare. Per onorare il legame tra Mario Puccini e la Maremma intendiamo riproporre una suo racconto breve, intitolato Primavera Maremmana. Apparso sulla terza del quotidiano “Il Roma” di Napoli, il primo aprile del 1935, fa parte di tutta una serie di novelle che avremo modo di pubblicare nei mesi a seguire. E in questo aprile 2017 lo riproponiamo fedelmente, nella speranza di suscitare nel lettore le stesse sensazioni di purezza e di semplicità che l’autore in tutta la sua vita ha percepito durante le sue peregrinazioni in Maremma.

La copertina del libro del Puccini

La copertina del libro del Puccini

Manca quasi del tutto in Maremma l’albero che si potrebbe chiamare l’annunciatore della primavera, l’esile mandorlo. Ma se anche nei larghi campi dove il sole, anche nelle belle giornate, arriva sempre come stanco e stento, quasi che lungo la strada si sia impicciato in non si sa quanti ostacoli, nessun segno appare a indicare che l’inverno è finito e che la stagione buona è decisamente cominciata, i “guitti” scesi quaggiù per la mondatura del grano capiscono che la primavera s’è stabilmente affacciata sul mondo e conviene salutarla. A dire la verità, i somari era già una ventina di giorni che si faticava a combatterci; e pioveva ancora a dirotto, le strade erano tutte un pantano, anche il cielo pareva una pozzanghera. Ma loro, laggiù nelle stalle, raglia che ti raglia, come se volessero darti la sveglia:”caro padrone, tu dormi o sei ciucco, ma io che sto all’erta posso dire che l’ora è venuta di lasciar la stalla e la casa; che laggiù il grano deve già essere mezzo metro fuori e tu cosa aspetti per andarlo a mondare?”. Hanno sofferto povere bestie, il chiuso e il freddo per tutta una stagione, e nelle stalle non mancava il fieno e la paglia, ma laggiù hanno poi l’erba e la macchia libera; e al chiuso potrebbero ragliare dalla mattina alla sera, ma le femmine, anche se sono in una stalla a due passi dalla loro sta attento che gli rispondano. Eh, eh la miccia vuole la buona stagione: soltanto in primavera e quand’è fuori dalla stalla, la somara si ricorda che questa terra, oltre il fieno e la paglia, ci sono anche le erbette nove e i somari giovani che la chiamano. Ma il villano di Maremma non è come il villano dei paesi ricchi, che ha i suoi campi sotto casa e campi dove la primavera si mette a cantare appena marzo fa capolino da sotto le nuvole di febbraio; e dove uno si volta, gli odori della terra ti saltano addosso. Il campo del maremmano è a molte miglia dal paese; e finché comanda la pioggia, il grano meglio lasciarlo al suo destino; a stuzzicarlo quando non riposa sul sodo per liberarlo dalle erbe, è come ad un uomo che per levargli un moscerino da un occhio gli si ficcasse dentro tutto intero un dito. Le erbacce gli crescono sopra e d’intorno; il loglio lo affoga, ma lui si difende come può da solo: aspettando che un po’ di sole asciughi i suoi solchi, che allora arriveranno le mani provvidenziali dei villani e la sua vita sarà assicurata … Ora si che si può andare, ora che quell’imbottitura delle nuvole s’è diradata; e sulle fratte comincia a comparire il fiocco bianco del sambuco; e la terra, non vi si affonda dentro mezzi, uomini e somari. Primavera: si possono buttar via finalmente i maglioni d’inverno che si sudava dentro anche stando fermi; e il pane che si porta non si correrà pericolo di doverlo mangiare con lo sputo, perché non si trova in giro un po’ di cicoria che gli faccia buona compagnia. Primavera: e ci sarà la cicoria, nelle macchie; e si potrà camminare con indosso la sola camiciola. Ma il più bello sarà questo, che le gole delle donne finalmente si scioglieranno. Perché, poverine, l’uomo un’ora di spasso se la piglia anche in inverno; e magari all’osteria, per la paura di tirar fuori i soldi della cena sua e dei suoi figli non berrà più un bicchiere; ma infine ci va, e oggi è una partita a carte, domani una cantatina da poeta, il tempo alla bell’e meglio all’uomo gli passa, anche nelle giornate più scure. Ma la femmina, soltanto nella stagione si può dare un poco all’allegria: che allora scende anche lei in Maremma con le brigate; e certo non ci sono laggiù le case col mobilio, c’è soltanto la capanna con le rapazzole, ma il signore dove mette l’ago non si scorda di mettere anche il rocchetto. Fin dalla mattina dell’ingaggio, l’aria è già un’altra nelle case e per le strade. E loro, le donne, fanno ancora le schizzinose:”uno zinalino nuovo bisognerebbe me lo staccassi, il fazzoletto da testa bisognerebbe me lo facessi nuovo () E quando si piglia la strada di Maremma, brontolano che c’è ancora fango dove si cammina; ma, uno verzellino che canti in cima ad un fico ed eccole li con gli occhi spalancati a guardarlo. […] IL grano suda sette camicie, nella stretta delle erbacce, e sul momento è soltanto a lui che bisogna pensare. Ma quando le ore lunghe ed uguali sono sfilate e si avvicinano quelle che duran poco, le ore del tramonto e del crepuscolo e della sera, […] per gli uomini e per le donne di queste brigate contadine giunge il momento di sciogliersi e di far onore a mamma primavera ormai stabilmente arrivata e ufficialmente riconosciuta. E sono in apparenza canti in comune, canti soltanto corali, ma chi potesse affacciarsi da dietro una fratta senza essere veduto, avvertirebbe subito che,nonostante la gente sia tanta ed ogni uomo ed ogni donna stia a gomito coi vicini, dieci dodici uomini ed altrettante donne fanno già coppia, sia pure soltanto con gli sguardi. E non mancano i contrasti […] Ma la primavera in Maremma ha prima di tutto l’aiuto degli odori, che si avvertono in particolar modo di sera (e così forti che paion frustate) e poi ecco infine l’usignolo: un tenore che se ci si mette, par di essere non più all’aperto e ad un passo da quelle brutte macchie malate, ma in un palazzo di cristallo, si sognano le fate, si pensa al paese della cuccagna, anche le sverzelline più superbe sotto quella musica finiscono col diventare manse e dicono ai loro maschi di si.    [1935]

Unipol Sai Assicurazioni
La Mandragola
Parafarmacia
Podere Bello
CasaUstoma
Monica Lavazza
Locanda del Pozzo Antico
Kaloroil
Bar Il Golosone
Pelletteria Grifoni
Tisi Fotografia