Fin dal XVI secolo la contea degli Orsini, terra di frontiera e soggetta al potere assoluto del feudatario, ospitò profughi ebrei in quelle che David de Pomis definì le tre “Città rifugio”: Pitigliano, Sorano e Sovana. Costui era un medico ebreo espulso dallo Stato della Chiesa nel 1555 che, al servizio dei conti Orsini, poté esercitare la sua professione per cinque anni. Prima del suo arrivo piccole colonie di ebrei si erano installate nel territorio di Pitigliano e Sorano già dalla metà del secolo precedente (A. Biondi 1979). Dopo il 1569, anno in cui fu decretata la cacciata degli ebrei da tutte le città dello Stato Pontificio, la comunità pitiglianese si accrebbe e già nel 1576 si contavano sei nuclei familiari per un totale di trentatré persone. L’espulsione degli ebrei da Firenze e la distruzione della città di Castro nel 1649 provocarono nuovi massicci arrivi. Alla fine del 1500 la comunità aveva una Sinagoga, una scuola, il cimitero, il forno per il pane azzimo e la possibilità di procurarsi la carne Kasher, cioè rispondente alla legge ebraica. Gli ebrei trovarono protezione presso gli Orsini e poterono instaurare un rapporto di pacifica convivenza con la popolazione di Pitigliano. Di fondamentale importanza per la crescita e la stabilità della Comunità, fu l’apertura del Banco di prestito su pegno (1571), che consentì il sorgere di attività artigianali e commerciali e nello stesso tempo di soddisfare il pressante bisogno di denaro del feudatario che, logicamente, aveva tutto l’interesse a proteggere gli ebrei. La dominazione medicea (1608) mutò radicalmente le condizioni di vita della giovane comunità ebraica, giacché le restrizioni in vigore in tutta la Toscana già dal 1570 – ’71, furono sistematicamente applicate ai nuovi domini. In particolare il Bando granducale del 1571 imponeva la chiusura dei Banchi di prestito a pegno e la segregazione degli ebrei nei ghetti. Nei territori dell’ex contea i ghetti (o serragli), furono istituiti nel 1619 a Sorano e nel 1622 a Pitigliano. La chiusura del Banco di prestito (1608), l’imposizione della tassa di quattromila scudi fiorentini per la costruzione della Fonte, pena lo sgombero della contea (1612), ridimensionò il peso economico e sociale degli ebrei. Nel 1627, a cinque anni dall’istituzione del “Serraglio”, il Podestà di Pitigliano li descriveva “in calamità et in generale tutti disfatti che non hanno più traffichi né arte come prima che tenevano botteghe aperte con merci varie” (G. Celata 1995; pag 96).
Con l’avvento dei Lorena e con le riforme di cui si fece promotrice la nuova dinastia, vennero profondamente rinnovati i rapporti con le minoranze ebraiche della Toscana. Segno dei tempi nuovi fu la visita compiuta dal Granduca Pietro Leopoldo alla Sinagoga nel 1773, con cui si riconosceva ufficialmente la comunità ebraica di Pitigliano. Leggi come quelle che favorivano il commercio degli ebrei e sancivano la loro uguaglianza con gli altri sudditi, crearono le premesse per la rinascita economica e per l’integrazione con la popolazione locale dopo più di un secolo di ghettizzazione. L’occupazione francese della Toscana nel 1799 interruppe momentaneamente le pacifiche relazioni di convivenza fra la comunità cattolica e quella ebraica.
Alle armate giacobine, nemiche della religione cattolica, si oppose il movimento aretino detto del “W Maria”, i cui affiliati professavano devozione all’immagine della Madonna del Conforto. Nato originariamente fra le masse contadine, il movimento fu diretto dalle nobiltà e dal clero aretino, divenendo ben presto rivolta armata (al grido di W Maria) contro le truppe francesi. Queste, costrette a ritirarsi dal Granducato anche per motivi legati alle vicende militari in Italia settentrionale, lasciarono campo libero alla reazione aretina che si abbatté principalmente sugli ebrei, accusati di sentimenti repubblicani e giacobini (R. G. Salvadori 1991). Nel giugno di quell’anno gli aretini giunsero a Pitigliano e riuscirono a coinvolgere il comune in un Comitato da cui scaturì l’arresto di trentadue persone, fra cui quattordici ebrei. La comunità ebraica fu costretta a consegnare diciotto libbre d’argento, in gran parte arredi provenienti dalla Sinagoga.
La reazione coinvolse momentaneamente la popolazione cattolica di Pitigliano: case ebraiche furono saccheggiate, fu abbattuto l’albero della libertà, simbolo del giacobismo, e un ebreo morì a causa delle aggressioni. Dopo questo episodio i pitiglianesi solidarizzarono con gli ebrei, difendendoli da un tentativo d’irruzione nel ghetto e comprendendo che le richieste di alcuni aretini altro erano soltanto vessazioni a scopo di rapina. Quando poi un gruppo di soldati provenienti da Orvieto, che si spacciavano per aretini, inveì sulla persona del rabbino compiendo saccheggi e atti di vandalismo all’interno della Sinagoga, i pitiglianesi non esitarono a ucciderne quattro. Il giorno della rivolta rimase impresso in maniera indelebile nella memoria collettiva degli ebrei che composero poesie e canti di ringraziamento per ricordarlo (R. G. Salvadori 1991 e 1999).
Il XIX può essere definito il “secolo d’oro” degli ebrei di Pitigliano, quello in cui raggiunsero la maggiore espansione economica, culturale e demografica, sfiorando le quattrocento unità nel decennio 1850 – 1860. A seguito di tanta prosperità, Pitigliano ben meritò l’epiteto di “Piccola Gerusalemme”. Già sotto gli ultimi Lorena, che non mancarono di far visita alla Sinagoga nel 1823 e nel 1829, fu istituita una Scuola di Mutuo Insegnamento e una Biblioteca di 4.000 volumi nata grazie all’eredità della ricca famiglia Consiglio. Dopo l’unità d’Italia iniziò la lenta emigrazione dall’antica “città – rifugio” verso località, in particolare Livorno, dove poter intraprendere nuove e vantaggiose attività economiche. I numerosi matrimoni misti ridussero ulteriormente la comunità, tanto che nel 1931 essa fu sciolta e accorpata a quella di Livorno (G. Celata 1985).
Le leggi razziali del 1938 e la successiva Shoah diedero il colpo di grazia alla ormai esigua presenza ebraica. Tuttavia, durante l’occupazione tedesca e della repubblica sociale, quando le autorità fasciste in provincia misero in piedi un Campo d’internamento per ebrei a Roccatederighi, dal quale molti furono costretti al viaggio senza ritorno per i Lager nazisti, decine di ebrei trovarono rifugio presso famiglie contadine di Pitigliano, Sorano e nelle campagne dei comuni di confine del viterbese. Qualcuno si aggregò alle bande partigiane, particolarmente attive fra Lazio e Toscana. Tale solidarietà permise a molti di salvarsi dalla cattura e dalla deportazione in Germania. Alla fine della guerra, precisamente nel 1948, si contavano soltanto trentanove persone di religione ebraica. Nel 1960 la Sinagoga veniva chiusa e terminava così, dopo quattro secoli, la parabola storica della “Piccola Gerusalemme”. Come ha scritto recentemente Angelo Biondi, “si chiudeva così degnamente la lunga vicenda di rapporti di tolleranza, di stima e molto spesso di amicizia e di affetto tra cristiani ed ebrei, che costituiscono il valore fondamentale dell’esemplare esperienza pitiglianese. Perciò a Pitigliano, nonostante che gli ebrei siano oggi ridotti a poche unità, quell’antico rapporto continua in altre forme; da restauro e conservazione dei monumenti ebraici (Sinagoga, forno degli azzimi, bagno rituale, cimitero, museo ebraico,) alla scelta di produrre vino kasher nella Cantina Cooperativa di Pitigliano, alla fondazione dell’Associazione “La Piccola Gerusalemme”, che ha come fine la promozione di iniziative per la valorizzazione della storia di Pitigliano” (WWW.ComunediPitigliano, La piccola Gerusalemme).