Intervista speciale al pittore Fabio Capoccia, docente e artista di origine soranese. Abbiamo deciso di intervistarlo per parlare degli ultimi lavori che ha realizzato, degli ultimi progetti ma anche per dare una lettura del presente, che agli occhi di un artista non è mai scontata. La sua produzione è variegata e legata al fascino del colore come linguaggio per l’anima, la deformazione della forma come metodo espressivo e alla tecnica dell’olio su tela e tavola.
Dopo tanti mesi fermi nelle nostre case le vite sono inevitabilmente cambiate ma tu hai comunque continuato a produrre e ricercare. Qual è il senso?
Ricercare un antidoto alla morte. Le persone hanno bisogno di anima e vivacità.
Hai realizzato un documentario per parlare della tua arte, raccontaci qualcosa di questo nuovo progetto.
Il documentario è una intervista, un monologo artistico diretto da Emanuele Presti e pubblicato da poco su YouTube. Abbiamo girato tra gennaio e marzo 2020 poco prima che arrivasse la pandemia per questo poi il lavoro è rallentato e con il montaggio e pubblicazione siamo arrivati a novembre/dicembre. Stiamo lavorando alla presentazione ufficiale.
È stato girato a Roma presso il quartiere Eur, in particolare al Museo della civiltà romana, che ho scelto perché è un luogo emblematico. È un tempio, quindi qualcosa di sacro ma che al contempo è stato abbandonato. È un posto bellissimo, è un tempio dell’arte, metafisico, dechirichiano, fuori dalle mura del tempo. E attraverso il luogo ho raccontato il senso della mia arte attraverso le domande poste dal regista, con il quale è nato un sodalizio umano, ho mostrato alcune opere, in particolare i ritratti perché mi importava analizzare il testo e il contesto dell’opera.
Cos’è la creazione?
È una testimonianza del momento presente in un presente divenire. Quindi ha una valenza universale, non è legato ad un momento. Come dire, una sollecitazione del momento, che esige di essere espressa. Cos’è che muove la creazione? È qualcosa di facile e difficile allo stesso tempo. È una necessità, proprio come mangiare. È un attimo. La possibilità di fermare ciò che è irripetibile e che l’io sente e tende verso l’esterno.
La creatività è una vita e il mondo è un medium del germe che uno ha innaturale. Ma in fondo la creazione non è definibile, perché non si può veramente esporre in una etichetta.
Ungaretti diceva che la parola era impotente, si avvicina al vero ma resta sempre un mistero ultimo. Nell’arte, nella tua arte, resta qualcosa di non espresso e di misterioso?
Il limite della parola ne esalta la potenza, infatti ciò che scrive Ungaretti è dirompente. Il colore crea una forma, distrugge ogni limite elevandosi oltre la frontiera del limite. L’arte esprime quello che non potrei sondare con le parole. Consiste nel vedere tutto come un’epifania, un’apparizione fulminea. E la rivelazione non è solo per chi crea ma anche per chi guarda.
Ho visto che hai dedicato le tue ultime tele a dei ritratti di tipi umani. Puoi raccontare a cosa stai lavorando?
Potrei definirla “arte democratica” cioè ho rappresentato delle figure umane in tratti quasi realistici, quindi si riconoscono bene ma sono anche figure deformate. Ho preso delle tavole di piccolo formato quadrate e le ho dipinte sul retro e ho realizzato dei volti, proprio in questo periodo in cui i nostri volti sono nascosti dietro le mascherine.
Mi piacerebbe che esponendole le persone si ritrovassero in quei volti. Inoltre hanno caratteristiche di persone originarie di diverse parti del mondo, ho scelto di rappresentare delle categorie umane più deboli. Sono sedici tele e l’ho pensata come una passeggiata nel mondo. Volevo indagare l’autenticità degli estremi, perché lì c’è ancora la verità incorrotta.
La penso arte democratica perché vorrei che tutti, a prescindere dall’estrazione sociale, dal sesso, dagli studi, potessero provare una reazione vedendola. L’arte è qualcosa che suscita emozione, serve a trovare un po’ di se stessi.
La mia attenzione è stata catturata dalla rappresentazione della bocca nei ritratti, che emerge sempre in modo particolare. Cosa significa?
È uno stilema artistico intorno al quale ragiono e creo da tempo, è il risultato dei miei trentacinque anni. Non so, forse è il simbolo di una tensione universale, un grido di allarme. Inoltre aggiungo sempre un punto di colore non so bene definire cosa rappresenti, potrebbe essere un po’ come nel romanzo Bestie di Tozzi qualcosa che appare e non c’entra niente con la scena, crea un nonsense. Esprime qualcosa che è indescrivibile oggi, qualcosa che mi impone una riflessione.
Quale apporto può ancora dare l’arte al nostro tempo?
L’artista vive e crea, da così valore al tempo. Può far riflettere innescando un’energia, può far riflettere anche su quanto è civile il mondo di oggi, su quanto si stia dis-umanizzando, andando verso una mescolanza sempre più evidente tra umano e non umano.
L’arte, al contrario di quello che appare oggi, credo che sia sempre figlia di povertà cioè figlia dell’assenza e dunque ricerchi la presenza per dare un valore umano e culturale. L’assenza di qualcosa, la mancanza, appare come la morte ma non dobbiamo averne paura perché solo così passiamo alla ricerca e dunque torniamo nell’umano.
In conclusione l’arte è…
Si potrebbe parafrasare e contestualizzare la frase di Dostoevskij facendola diventare “l’energia della bellezza salverà il mondo”. L’arte può e deve salvarci da noi stessi e dagli altri, dando spazio all’anima.