La prima avvisaglia di spinte centrifughe, che sembravano sopite e che risalivano ai primi anni del Novecento, fu del giugno 1926, quando in una lunga relazione inviata al Ministro degli Interni, la sezione fascista soranese stigmatizzava il tentativo di distacco della frazione di Sovana per essere aggregata a Pitigliano. Allora, come avverrà dopo, fu messo in risalto l’impegno del municipio in favore di quella e altre frazioni, che da poco avevano avuto gli acquedotti, mentre si sottolineava l’interesse che soltanto pochi proprietari traevano dalla separazione, mascherata dalle affinità etrusche tra Sovana e Pitigliano, ma che in realtà dissimulava il pagamento di tasse fondiarie inferiori in quest’ultimo municipio.
La questione cominciò a presentarsi in tutta la sua gravità i primi di marzo del 1927, quando il prefetto Salvetti, uno dei protagonisti della vicenda, inviò una circolare al commissario prefettizio Arturo Romboli[1] con allegata l’istanza degli abitanti di S, Martino e Catabbio per essere separati dal comune di Sorano e aggregati a quello di Manciano, chiedendo di deliberare in proposito. La risposta di Romboli, in data 15 marzo, sottolineava i motivi della netta opposizione del comune di Sorano, ragioni sostenute con altrettanta determinazione dai suoi successori. Veniva ricordato che la questione del distacco, in favore però del comune di Pitigliano, risaliva agli anni immediatamente successivi all’unificazione nazionale e che mai era pensato al comune di Manciano, più distante rispetto a Sorano. In quell’occasione il consiglio provinciale aveva respinto le istanze secessionistiche.
Il riemergere della questione, sottolineava Romboli, dipendeva dalla volontà di un singolo o di pochi interessati che propagandavano sul posto le convenienze del distacco: “Od ora o mai più era il ritornello delle pubbliche conferenze; e gli elettori abboccarono, pensando forse anche a quello che nelle loro menti poteva essere l’attimo fuggente. D’altra parte avranno pensato: Manciano è un comune straricco, e coi ricchi c’è sempre da guadagnare qualche cosa; Sorano invece non è ricco, e dopo che ha dato alle sue frazioni tutto quanto poteva dare, impegnando la finanza comunale per più di un milione di debiti che terranno alta la pressione tributaria per almeno un cinquennio, è meglio scappare”. Il milione e più di cui parlava Romboli riguardava i mutui per gli acquedotti e la viabilità, dei quali trecentomila lire erano state spese per l’acquedotto S. Martino-Catabbio e per la strada del “Pian di Cataverna” che interessava quelle località. Dal canto loro i frazionisti motivarono la richiesta unicamente a causa della mancanza di un ponte per guadare il fiume Fiora, perché “se esistesse il ponte o si potesse costruire – gli esponenti sono obiettivi e sereni – la loro richiesta non avrebbe ragione di essere”. Infatti da un punto di vista amministrativo dichiararono di non aver nulla di cui lamentarsi, poiché il comune vi aveva istituito un distaccamento dello Stato Civile, una condotta medica e una ostetrica con relativo armadio farmaceutico, due scuole e un servizio postale per mezzo del quale potevano pagare le tasse senza recarsi a Sorano. L’unico motivo per raggiungere il capoluogo era la leva militare, ma, come sostenne Romboli, “non è cosa di tutti i giorni” e anche per il pagamento delle tasse, qualora non si fosse voluto adoperare il vaglia postale, visto che le imposte si versavano dal giorno 10 al 18 dei mesi pari, “fra questi giorni può bene esservene almeno uno, se non tutti, nel quale la Fiora dica il suo passate”. Veniva sottolineato l’enorme danno economico che il distacco avrebbe arrecato alle finanze comunali (una perdita di 100.000 lire annue, anche se in realtà si trattò di 40.000 lire) della quale si sarebbero dovute far carico altre frazioni più povere, dal momento che le più ricche, come S. Quirico, pagavano i tributi al comune di Pitigliano, nel quale si trovavano la maggior parte delle sue proprietà. Per Sorano si profilava l’impossibilità di vivere di vita propria. Il commissario prefettizio poi si mostrava perplesso per la motivazione della mancanza del ponte sul Fiora, perché “eguale provvedimento dovrebbe allora prendersi per altre frazioni del comune”, come S. Giovanni con il fiume Stridolone, Montevitozzo con la Vaiana, Montebuono con il Segno e la Calesine, Elmo con la Calesine. Infatti se il Fiora aveva avuto i suoi morti, il commissario prefettizio ricordò il caso di un combattente che di ritorno dal fronte per una licenza, fu travolto e ucciso mentre cercava di guadare lo Stridolone, sotto gli occhi di genitori e fidanzata. Ma sarebbe stato assai meglio se non avesse espresso quest’ultima considerazione al prefetto Salvetti[2].
Il 17 marzo 1927 il governo fascista emanò il R.D. n. 383 per la revisione delle circoscrizioni comunali (convertito poi nella Legge 7 giugno 1928 n. 1382) che sanciva la scomparsa dei comuni con 3-400 abitanti situati in prossimità di agglomerati più grandi e di quelli che non erano in grado di vivere autonomamente. Così il prefetto segnalò ai podestà della provincia di aver “iniziato lo studio sulla possibilità di creare nuove vigorose unità dal raggruppamento di piccoli centri la cui vita stentata sia in contrasto col fervore di rinnovamento e di progresso che anima nei suoi complessi aspetti la vita nazionale”[3]. Visti i precedenti, erano ovvie le preoccupazioni delle autorità soranesi, del podestà Odoardo Poggi, subentrato a Romboli il primo aprile 1927, e della locale sezione fascista. Si vociferava con insistenza della fine del comune, poiché Manciano avrebbe inglobato S. Martino e Catabbio, il comune di Castell’Azzara le frazioni di Montevitozzo, S. Giovanni, Castell’Ottieri e il resto, capoluogo compreso, sarebbe stato aggregato a Pitigliano. Questo comunicava con apprensione il podestà di Sorano al prefetto[4]. Ancor più emblematica è la lettera inviata dalla sezione fascista di Sorano all’on. Ferdinando Pierazzi, segretario della federazione provinciale fascista, in cui si segnalava l’attività frenetica di avvocati, notai, medici, segretari politici del fascio e privati cittadini nelle frazioni soranesi per propagandare il distacco dal loro comune, con promesse di nuove scuole, strade, lastrici e acquedotti, tanto che “sembra di essere ritornati in periodo elettorale (con) un lavorio sordo e palese che è vergognoso, che non ha alcuna caratteristica di lealtà… che non ha nemmeno spirito di cameratismo, perché cameratismo vi dovrebbe essere fra fascisti”. E più avanti si sottolineava la certezza che anche presso il competente ministero si facessero adeguate pressioni[5].
A conferma che non si trattava di voci, giunse al podestà di Sorano una circolare riservata in data primo settembre 1927 dal prefetto Salvetti con la proposta di soppressione del comune di Sorano e l’aggregazione del suo territorio a quelli di Castell’Azzara, Manciano e Pitigliano[6]. Fra settembre e dicembre cominciarono a delinearsi i retroscena della vicenda, ossia il “piano imperialistico” del comune di Manciano, per dirla con il podestà Odoardo Poggi, che consisteva nell’aggregazione di S. Martino, Catabbio e di parte del territorio di Pitigliano al di là del fiume Fiora a Manciano. Poi si sarebbero fatte pressioni per non sopprimere il comune di Sorano al solo scopo di impedire l’ingrandimento di Pitigliano. Quest’ultimo era l’obiettivo principale del comune di Manciano: avere le carte in regola, ad annessione avvenuta, per chiedere in suo favore il trasferimento del mandamento (la Pretura) da Pitigliano. Perorava il progetto il fondatore dell’Associazione Agraria della provincia, il parlamentare fascista mancianese on. Aldo Mai, peraltro podestà del suo comune ininterrottamente fino alla morte, supportato dal prefetto Salvetti che in passato era stato commissario regio a Manciano e che durante la sua permanenza alla prefettura di Grosseto fu più volte ospite dell’onorevole[7].
Più robuste si fecero le voci di dissenso da Sorano al tentativo di separazione dei due paesi di là del Fiora, motivate dalla imminente costruzione della strada provinciale per essi e del relativo ponte sul fiume. Inoltre si faceva notare il danno che S. Martino e Catabbio avrebbero avuto dal distacco, essendo Manciano assai più distante da Sorano. E a poco serviva la recente costruzione della strada Manciano-Roccalbenga, che passava in prossimità delle due frazioni, e del relativo servizio automobilistico, perché l’autobus per Manciano arrivava alle ore 13:00 e ripartiva alle 13:30. Non si comprendeva come con mezz’ora di tempo a disposizione i frazionisti potessero curare i loro interessi. E si tornava a ribadire i veri motivi: quelli di portafoglio.
Alle rimostranze del municipio si associarono, nel dicembre del 1927, la sezione soranese degli ex combattenti, quella dei Mutilati e Invalidi di guerra, il sindacato dei braccianti agricoli di Castell’Ottieri, il sindacato coloni di Sorano, tutti i parroci del comune, a eccezione di Catabbio, dove mancava, e di S. Martino perché “non è stato interpellato” (da alcuni documenti d’archivio, il parroco di San Martino risultava favorevole all’aggregazione a Manciano), la locale federazione fascista dei commercianti, le sezioni del fascio di Montevitozzo, Montebuono, Elmo, S. Giovanni delle Contee e quella di Sorano a cui si associarono anche i fascisti del Cerreto e di S. Valentino. Insomma una protesta corale dalla quale, almeno dai documenti archivistici, mancava significativamente la presenza della sezione fascista di S. Quirico e di Sovana. Non a caso, quando il distacco fu imposto per legge, il segretario del fascio soranese mostrò la sua preoccupazione per le intenzioni secessionistiche di quelle due frazioni in favore di Pitigliano.
Nel settembre del 1928 un decreto regio sanciva il distacco del territorio del comune di Sorano situato a destra del fiume Fiora (5.400 ettari), con le frazioni di S. Martino e Catabbio (1077 abitanti) e la sua aggregazione a Manciano. La separazione avveniva formalmente con il 1 gennaio del ’29.
Il provvedimento lasciò esterrefatti i fascisti soranesi: si sentirono traditi e traditi furono, a loro avviso, gli ideali del fascismo, piegati ai campanilismi e ai tornaconti personali. Non ci si rendeva conto come, dopo aver criticato i metodi politici affaristici e la corruzione dei vecchi notabili liberali, se ne seguissero le impronte. Il distacco avrà conseguenze economiche negative che si faranno sentire per tutta la durata del fascismo. Fortunatamente per il comune, non ne seguirono altri.
La vicenda, riteniamo, potrebbe aver avuto delle conseguenze anche sulla carriera di Arturo Romboli. Questi, quando fu inviato da Firenze nell’ottobre del 1921, rappresentava il blocco di forze che facevano riferimento a Gino Aldi Mai, al Marchese Ciacci (rappresentato dal gerarca Ferdinando Cavallari) e all’avvocato Bruscalupi (primo sindaco di Pitigliano e poi primo podestà del paese), in contrapposizione al colonnello Berliri-Zoppi (che addirittura subì un arresto nella primavera del 1944, durante un rastrellamento nella zona di Pian di Morrano). La posizione di Romboli, contraria al distacco delle frazioni di San Martino e Catabbio, pensiamo potrebbe essere stata la causa del suo allontanamento dai comuni della Val di Fiora nel 1928. A riprova di ciò vi sarebbe una lettera dell’agosto del 1929 che egli scrisse da Massa Marittima, dove si era trasferito, al segretario del fascio di Manciano Fioravanti, in cui chiedeva la testimonianza di quest’ultimo, precisamente una dichiarazione scritta, relativamente alle sue azioni di squadrista nel 1922, in particolare agli scontri in cui era rimasto ferito da arma da taglio proprio a Manciano[8].
NOTE
[1] Nativo di Pontassieve, era stato inviato dal Partito fascista per espugnare i comuni delle Colline del Fiora, in particolare Pitigliano, dove fondò alcune squadre d’azione e fondò il fascio di combattimento nell’ottobre del 1921. Nel 1922 fu protagonista di scontri a Manciano, assieme ai fascisti di Pitigliano e a quelli di Manciano contro i sovversivi mancianesi. Romboli fu ferito da una coltellata all’inguine, ma Manciano fu espugnata. Nel dicembre del 1922 Arturo Romboli rappresentava Manciano nella Federazione fascista di Grosseto. E’ rimasto famoso il detto:”Casonesi del Casone, ugnetevi le scarpe che arriva Romboli col suo amico Sovani”. In una lettera del 1927 rinvenuta nell’Archivio comunale di Sorano, Romboli viene definito “fascista di purissima fede”.
[2] ACS, Distacco delle frazioni di S. Martino e Catabbio anno 1929 e precedenti, lettera della sezione fascista di Sorano al Ministro degli Interni del 24 giugno 1926; Circolare n. 1909 del prefetto Salvetti del 3 marzo 1927; domanda di distacco degli elettori di S. Martino e Catabbio al Ministro degli Interni allegata alla circolare n. 1909; relazione del commissario prefettizio di Sorano Arturo Romboli del 15 marzo 1927.
[3] ACS, Distacco cit. circolare del prefetto Giacomo Salvetti al podestà della provincia del 1 aprile 1927 n. 1699.
[4] ACS, Distacco cit., risposta del podestà di Sorano a nota prefettizia del 1 aprile 1927 n. 1699.
[5] ACS, Distacco cit., lettera della sezione fascista di Sorano al segretario della Federazione Provinciale Fascista Ferdinando Pierazzi in data 28 maggio 1927.
[6] ACS, Distacco cit. circolare prefettizia n. 8433 al podestà di Sorano.
[7] ACS, Distacco cit., lettera del podestà di Sorano alla prefettura in data 2 dicembre 1927; Estratto delle deliberazioni del podestà di Sorano del 15 dicembre 1927 n. 139; Lettera “Per la difesa della integrità del comune di Sorano” del 4 novembre 1928.[8] Dominici-Betti, Fascismo, Resistenza e altre storie in Maremma, Effigi 2020, pp. 90-91.