Le leggi razziali, lette per la prima volta da Mussolini il 18 settembre 1938 a Trieste, promulgate nell’autunno di quell’anno e abrogate nel gennaio del 1944 dal Governo del Sud, distrussero i diritti degli italiani di religione ebraica, escludendoli dalla scuola pubblica, dal servizio militare, dal ricoprire cariche pubbliche (ad esempio gli insegnanti), dall’iscrizione al PNF. Inoltre furono proibiti i matrimoni fra il “cittadino italiano di razza ariana con persona appartenente ad altra razza” e impedito agli ebrei di avere dipendenti di “razza ariana”. Le leggi facevano seguito al “Manifesto della razza”, firmato da 10 scienziati fascisti, in cui si sosteneva l’esistenza delle razze, di razze grandi e razze piccole e di quella italiana, definita “ariana”. Le leggi razziali si abbatterono particolarmente sugli ebrei. In realtà in Italia non esisteva nessun problema ebraico. Molti cittadini di religione ebraica avevano partecipato attivamente alle guerre per il Risorgimento nazionale, alla Grande Guerra e qualcuno persino al movimento mussoliniano sin dal suo esordio (come il grossetano Nino Sorani, ad esempio, e Mario Sorani, ebreo fiorentino, squadrista sin dal 1921 in una delle 2 formazioni fasciste pitiglianesi). In Provincia di Grosseto la solidarietà che si era consolidata nei secoli fra cristiani ed ebrei cominciò a mostrare le sue crepe, anche se come vedremo essa non scomparve del tutto. A Pitigliano la maggior parte degli ebrei erano commercianti o svolgevano attività artigianali e dopo le leggi razziali riuscirono a portare avanti le loro attività con non poche difficoltà. Il 18 settembre del 1939 l’ispettore di zona del Partito fascista Mirro Morucci intervenne presso il negozio di Agostino Macchioni in Pitigliano per rimuovere il cartello “Negozio Ariano”. Questo perché Macchioni era sposato con l’ebrea Genesia Servi. La situazione si aggravò decisamente per Manlio Paggi, laureato in matematica e insegnante al Liceo, che fu escluso dal lavoro, per le maestre Efsiba ed Elda Servi, per Giorgio Sadun ed Emma Bemporad, che erano impiegate al Monte dei Paschi di Siena e Angelo Servi che era il direttore della locale Agenzia. Il regime non mancò di adottare il provvedimento del confino, che si abbatté sui pitiglianesi Manlio Paggi e Giorgio Sadun, inviati a Tricarico, in Basilicata, e anche su Rita Servi, confinata a Firenze, tutti condannati sulla base di accuse prive di fondamento. Il 1° dicembre 1938 il Segretario federale di Grosseto Elia Giorgetti, trasmise al questore l’elenco dei fascisti di “razza ebraica” che, a seguito delle leggi razziali, avevano cessato di appartenere al Pnf. Di Pitigliano erano: Mario Bemporad, Abramo Moscati, Goffredo Paggi, Arrigo Sadun, Giorgio Sadun, Renato Sadun, Temistocle Sadun, Adelmo Servi, Angelo Servi, Livio Servi, Tranquillo Servi, Ugo Sorani, Bixio Sorani di Manciano. Contemporaneamente a tali provvedimenti il settimanale fascista La Maremma, organo provinciale durante il ventennio, lanciò una campagna di stampa estremamente violenta contro gli ebrei. Intanto la Prefettura di Grosseto ordinava la compilazione degli “Schedari” degli ebrei, per monitorare la loro presenza sul territorio dei singoli comuni grossetani (una richiesta in questo senso è quella del prefetto Palmardita al podestà del comune di Sorano nel 1941, rinvenuta dal sottoscritto nell’Archivio del Comune di Sorano). Da tali schedari risultava, come ha ricordato la signora Elena Servi, che a Pitigliano ci fossero 70 ebrei nel 1943. Tuttavia il peggio doveva ancora arrivare e giunse dopo il crollo del regime (25 luglio del 1943), l’occupazione tedesca del centro-nord dell’Italia e la nascita del nuovo fascismo repubblicano, il fascismo di Salò.
Gli Ebrei nella RSI
Al Congresso di Verona del novembre 1943 il risorto fascismo repubblicano dichiarò che “gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri, durante questa guerra appartengono a nazione nemica”. Non si trattava più soltanto di segregazione, come lo erano state le leggi razziali del 1938: adesso si prospettava l’incubo della cattura, reclusione, consegna ai tedeschi con destinazione i lager dell’Europa centro-orientale, in particolare della Polonia, che divenne l’obitorio del continente. L’occupazione militare tedesca significò l’estensione all’Italia della “soluzione finale”. Con tempismo perfetto, addirittura anticipando le direttive del governo di Salò, il “capo della provincia” Ercolani emanò 3 decreti di confisca dei beni degli ebrei a Grosseto tra il 16 e il 17 novembre 1943. Tali decreti riguardarono il blocco dei depositi e dei crediti, il sequestro di proprietà agrarie e quello di tutti i beni, compreso le abitazioni. Per la gestione del patrimonio immobiliare sequestrato, Alceo Ercolani istituì l’Egeli il 7 dicembre 1943, cioè l’Ente di gestione e liquidazione immobiliare. L’Egeli era composto di 11 membri tutti iscritti al PFR. Ma Ercolani non ebbe rivali in quanto a determinazione e tempestività, perché il 24 novembre 1943 istituì un campo di concentramento in un’ala della sede estiva del Seminario della curia vescovile di Grosseto, a Roccatederighi, nel Comune di Roccastrada attraverso un contratto d’affitto. La direzione fu affidata al maresciallo di pubblica sicurezza Gaetano Rizziello, che per la vigilanza disponeva di 3 poliziotti e 20 militi bene armati. Il campo d’internamento era dotato di reticolato e piantonato giorno e notte; la sorveglianza esterna competeva ai carabinieri di Roccastrada. A Roccatederighi vennero inizialmente internate 80 persone e non è ci dato di sapere il numero di coloro che vi furono trattenuti nei 7 mesi di vita della prigione. E’ certo che molti ebrei italiani furono rilasciati, in particolare nessuno della Provincia di Grosseto partì per Fossoli, ma la maggior parte vennero liberati per motivi di salute e di sicuro per un occhio di riguardo dei militi e dello stesso direttore Rizziello nel compilare le liste dei trasferimenti per il campo d’internamento di Modena.
Dal diario di Azeglio Servi siamo a conoscenza che molti internati vennero trasferiti al campo di concentramento di Fossoli in 2 distinte partenze: il 17 aprile e il 7 giugno 1944. Di questi, 38 – uomini, donne e bambini, 29 stranieri e 9 italiani – furono deportati nei campi di sterminio del iii reich, da dove quasi nessuno tornò. Erano stati tutti catturati da italiani o si erano consegnati spontaneamente in vari luoghi della provincia, fra cui Castell’Azzara e Pitigliano. Fra questi anche la famiglia Cava: Aldo Cava, Franca Cava, Enzo Cava. Gli ebrei nati a Pitigliano o in altri Comuni a sud di Grosseto, catturati da italiani e tedeschi in varie località dell’Italia centro-settentrionale, morti ad Auschwitz o in luogo ignoto furono 19, come riporta la lapide affissa nel complesso della Sinagoga pitiglianese.
Non tutti gli ebrei però furono catturati o si consegnarono, ma, al contrario, scelsero la clandestinità durata fino al giugno del 1944, rifugiandosi nei territori di Pitigliano, Sorano, Manciano e nei comuni limitrofi del viterbese e riuscirono a sopravvivere grazie alla solidarietà dei contadini che li aiutarono. Così si salvarono 4 giovani ebrei pitiglianesi: i fratelli Gino, Marcella, Edda e Lello Servi, la famiglia di Livio Servi, composta dalla moglie Olga e dalle figlie Adele, Elena e Rita, la famiglia di Manlio Paggi, 5 ebrei polacchi che erano a Pitigliano, risalirono il torrente Meleta per almeno 6 chilometri e si fermarono in una grotta presso il podere Capitono, aiutati dalla famiglia di Giuseppe Frulloni. A Catabbio, frazione del Comune di Manciano, si nascosero e riuscirono a salvarsi la vita i Bemporad, famiglia sfollata da Firenze. L’ebreo mancianese Bixio Sorani era ricercato. Sorani aveva partecipato alla Grande Guerra come tenente di complemento di fanteria. Dopo il conflitto gestì il Circolo ricreativo apolitico Edmondo De Amicis che i fascisti distrussero nel maggio del 1922. Poi s’iscrisse al Partito fascista e per una ventina d’anni lavorò al buffet della casa del fascio. A seguito delle leggi razziali fu espulsione dal Partito fascista. Durante il periodo della RSI sfuggì all’internamento e alla cattura dei fascisti perchè abbandonò Manciano il 27 novembre 1943. Riuscì a salvarsi grazie al prezioso aiuto di Salvo Manini, un fascista della prima ora che lo nascose e gli procurò il necessario per vivere e poté poi ritornare al paese accampagnato da Bibbiana Bassanelli.
Anche i patrioti e i partigiani nascosero gli ebrei, come il mancianese Ricci Tito Vezio, che aveva messo a disposizione dei partigiani della “Banda Arancio Montauto” in proprio podere in località Poggiofuoco. L’ebreo pitiglianese Umberto Calò fu partigiano, con la banda di Pitigliano comandata da Pietro Casciani, che, caso unico in Toscana, liberò il paese di Pitigliano 3 giorni prima dell’arrivo degli alleati e lo mantenne nelle proprie mani, malgrado i ripetuti tentativi tedeschi di recuperarlo.
Chi ospitava ebrei, alleati o partigiani rischiava la vita, il sequestro dei beni e la distruzione dell’abitazione, come accadde a Ilio Santarelli di S. Martino sul Fiora, che ospitava e proteggeva 3 prigionieri inglesi, di cui uno di religione ebraica. Tutti e 4 vennero catturati a seguito di delazione e assassinati nella notte tra il 5 e 6 maggio 1944 presso la frazione di Montemerano, in località Ainzara. La strage fu compiuta da 3 fascisti, tra i quali il dalmata Sokota Messa Boris, commissario prefettizio del Comune di Manciano. I corpi delle vittime verranno ritrovati solamente il 29 settembre del 1944.
Concludo invitando i ragazzi a visitare la Sinagoga e la sala “Augusto Brozzi”, dove si trovano i documenti originali della restituzione dei beni ai cittadini pitiglianesi di religione ebraica sequestrati dai fascisti, restituzione che fu compiuta per impulso del sindaco perseguitato politico antifascista Ercole Gervasi e dei partigiani pitiglianesi del “Reparto Lupi”.
Franco Dominici