1944: Leonella Leoni, staffetta partigiana e Valeriano Contrucci, carabiniere scomparso nel Comune di Manciano
Ho letto con grande piacere e interesse i racconti del mancianese Gileo Galli, raccolti nel volume “Anni di guerra”, edito dalla Nuova Fortezza di Livorno nel 1994. Il libro mi fu donato da Lilio Niccolai, sindaco di Manciano fra gli anni sessanta e gli anni settanta del Novecento. Sono narrazioni ambientate nella Maremma a sud di Grosseto tra il 1943 e il 1944, che rievocano episodi di Resistenza, amori impossibili e vicende drammatiche della Seconda guerra mondiale e del passaggio del fronte fra Lazio e Toscana. I personaggi e le storie sono verosimili: insomma un modo di testimoniare gli anni della “guerra civile” e dell’occupazione tedesca che rappresentano un documento importante per chi, come me, si sta occupando da tempo di quel periodo.
Due racconti di “Anni di guerra” sono particolarmente coinvolgenti: “Staffetta partigiana” e “Predizione”. Il primo è la storia di Nella, ossia Leonella Leoni, originaria di Magliano, staffetta partigiana della classe 1920 che, come si legge in documenti redatti dopo la guerra, aveva preso parte alla lotta clandestina occupandosi del trasporto di armi, munizioni ed esplosivi per i partigiani della Banda Arancio Montauto, del rifornimento di viveri, dell’acquisto di scarpe, tabacco in foglie e sale ad Orbetello, della cura di ammalati nella zona del Lamone, del trasporto di farina per la popolazione più disagiata, del sabotaggio dei cartelli stradali e del ponte sul torrente Sanguinaio. Nella era la sorella di Achille Leoni, un renitente della classe 1924. Catturato dai tedeschi a Colle Lupo di Magliano in Toscana il 27 maggio 1944 insieme ad alcuni combattenti alla macchia a cui si era unito, venne fucilato a Pescia Romana, dopo interrogatori e torture, il giorno 30 maggio o forse il 2 giugno. Nel racconto di Galli, la ragazza ha il compito di recapitare un messaggio urgentissimo, una questione di vita o di morte che questa volta riguarda proprio il fratello Achille e gli altri, cioè Luigi Cesa, Enzo De Piaz, Italo Nanni e Pietro Ruggeri, che avrebbero dovuto abbandonare immediatamente la fattoria di Colle Lupo, presso la quale si trovavano, perché tutta la zona era a rischio di rastrellamenti nazifascisti. La missione di Nella fu però boicottata dall’incontro con una pattuglia di militi fascisti, che le sequestrò la bicicletta, il mezzo con cui si spostava per recapitare le informazioni. La ragazza reagì al fermo della pattuglia repubblichina, ma fu percossa. Nella venne soccorsa da un contadino del luogo ed ebbe bisogno di alcuni giorni di cure e riposo prima di riacquistare la salute e il vigore dei suoi 24 anni. Tornata a casa apprese la tragica verità: a Colle Lupo i tedeschi avevano fatto irruzione nella fattoria, molto probabilmente a seguito di una delazione, uccidendo immediatamente il partigiano Enzo De Piaz, sergente maggiore paracadutista e sabotatore di Sondrio (nome di battaglia Nicola Francini) e catturando gli altri. I partigiani furono condotti, o meglio trascinati a Manciano, legati con del filo di ferro a un camion, ad eccezione di Achille Leoni, che finì i suoi giorni a Pescia Romana. Due prigionieri, Italo Nanni e Pietro Ruggeri, vennero uccisi dietro al muro del cimitero di Manciano, all’alba del 28 maggio. Solamente Luigi Cesa “Folgore”, originario di Mesagne (BG), non fu ammazzato, ma imprigionato a Manciano per essere interrogato e poi trasferito alle carceri di Pitigliano, da cui riuscì fortunatamente a fuggire a seguito del bombardamento che devastò la “Piccola Gerusalemme” il 7 giugno 1944.
Drammatica anche la storia del carabiniere Veriano Contrucci, originario di Bagni di Lucca, in servizio presso la stazione di Manciano, comandata dal brigadiere Luigi Zacchino. I carabinieri mancianesi, (ma in generale i militi dell’Arma), mal sopportavano il risorto fascismo repubblicano, impersonato dal segretario politico Giovacchino Brinci, nato a Foligno il 31 ottobre 1901, e dal commissario prefettizio Sokota Messa Boris, originario di Zara, poi ufficiale delle Brigate Nere, che amministrò la “Spia della Maremma” dal gennaio al giugno del 1944. Per timore di essere deportati in Germania, il carabiniere Enzo Gabriellini e l’appuntato Isidoro Mai, entrambi della stazione di Manciano, avevano abbandonato la caserma e raggiunto i partigiani di Montauto all’inizio di febbraio del 1944. Poi fu la volta di Veriano Contrucci, che si unì ai combattenti alla macchia qualche giorno dopo. Con la Banda Arancio Montauto, Contrucci prese parte alle seguenti operazioni: azione contro i tedeschi sulla via Aurelia, recupero di armi presso la caserma dei carabinieri di Magliano, un’azione terroristica su Montiano.
Contrucci è il protagonista del racconto di Gileo Galli intitolato “Predizione”, che si svolge fra un podere dell’Aquilaia (Scansano), di proprietà di un certo Detti, e la zona nei dintorni dello Sgrillozzo e della Marsiliana, nel mancianese. Una sera – racconta Gileo Galli – il carabiniere Contrucci, insieme al partigiano Ponticelli, giunse alla casa colonica del Detti, dove più volte aveva trovato rifugio e raccontò di come aveva ucciso un tedesco allo Sgrillozzo, che lo aveva implorato, il teutonico, di non ammazzarlo perché aveva moglie e figli. Il racconto provocò la disapprovazione del padrone di casa, che rimproverò il carabiniere perché, disse, non ci si deve comportare come i peggiori e consigliò il partigiano a non passare più per quel luogo, giacché vi avrebbe trovato la morte. Il tedesco ucciso era stato sepolto sul ciglio della strada e per molto tempo quel luogo fu indicato come “Buca del Tedesco”, al posto del vecchio toponimo “Buca del Giorgini”, successivamente ripristinato. La mattina seguente i 2 partigiani lasciarono la casa colonica e si avviarono verso la strada statale Maremmana, perché Contrucci aveva intenzione di tornare alla “Buca”, indifferente e quasi sprezzante di fronte alla presagio del contadino. Giunti presso Poggio Vaccaio, i 2 sentirono un movimento di truppe, non molto distante dalla “Buca”: si trattava di tedeschi che transitavano lungo l’arteria principale della Maremma collinare. Contrucci volle per forza attraversare la strada in quel punto, mentre Ponticelli, l’altro combattente, si rifiutò di seguirlo, adducendo come motivazione delle necessità fisiologiche. Poco dopo quest’ultimo sentì un frastuono, grida e rumori, come se si trattasse di una lotta. Poi il rumore di soldati che si avvicinavano e Ponticelli, impaurito, si allontanò rapidamente, scampando a morte certa. Il temerario carabiniere, invece, era stato catturato e di lui non si seppe più nulla: il cadavere non fu mai ritrovato a Poggio Vaccaio e Contrucci, da allora, fu dichiarato disperso e come tale risulta nella Lapide dei Partigiani morti in Maremma, affissa nel palazzo della Provincia di Grosseto. Tuttavia esistono 2 indizi che ci conducono a Roccastrada. Nella sua Relazione, il comandante Arancio riferisce della cattura del milite dell’Arma presso il Lasco, il 9 giugno del 1944, mentre si trovava in pattugliamento armato. Poi il fondatore della Montauto riferisce che: “Nonostante tutte le ricerche fatte per oltre un anno, se ne ignora la fine. A detta di alcuni contadini sembra che sia stato fucilato dai tedeschi nella zona di Roccastrada. Recatisi colà, però, non fu possibile ottenere alcun chiarimento, né tanto meno ci fu precisato il fatto”[1]. Chiedo informazioni all’amico Giulietto Betti di Siena, che mi scrive quanto segue: “Nel 1984, mentre cercavo di stilare una lista di partigiani caduti, fui a Grosseto, all’ANPI provinciale e parlai con l’allora presidente Pietro Verdi. Lui mi fece vedere una lettera del Comune di Roccastrada del 1945, dove era scritto che alcune persone del paese ricordavano di aver visto, nel giugno del 1944, nei giorni del passaggio del fronte, la fucilazione di un partigiano in uniforme da carabiniere nei dintorni del paese. Nella lettera c’era anche scritto che il Comune non poteva confermare ufficialmente la cosa perché il cadavere non era stato rinvenuto e non risultava agli atti di morte. Ritengo possibile che il cadavere sia stato bruciato ma è anche possibile che i tedeschi abbiano sepolto il corpo per non farlo trovare. E’ una cosa che hanno fatto anche altrove, sul Monte Cetona, ad esempio, catturarono 2 partigiani che non sono stati più ritrovati”.
Veriano Contrucci venne riconosciuto Partigiano Combattente caduto e disperso della Banda Armata Maremmana (nome del gruppo di Capalbio) dal 12 febbraio al giugno del 1944 ed è ricordato anche nel libro di Ugo Jona, Le rappresaglie nazifasciste sulla popolazione toscana, come caduto di Bagni di Lucca alla data dell’11 giugno 1944.
Franco Dominici
[1] Relazione della Banda Arancio Montauto, pag. 45.