Negli anni successivi all’unificazione nazionale gli amministratori dei comuni delle colline del Fiora Sorano, Pitigliano, Manciano- seguivano con vivo interesse il progetto per la realizzazione della linea ferroviaria che avrebbe dovuto collegare Orvieto a Talamone o alle foci del Fiora. La ferrovia, dunque, interessava anche i loro territori e, insieme alla viabilità stradale e agli acquedotti, era uno dei bisogni più urgenti per lo sviluppo socio-economico dell’entroterra maremmano, caratterizzato da secoli di isolamento e povertà. Già dal 1863 il Consiglio Provinciale si era espresso favorevolmente al progetto della umbro-maremmana e alla sua congiunzione con la linea ferroviaria centrale della Toscana. D’altra parte la linea superava di poco i 100 chilometri e il suo costo era assai inferiore a quello necessario per il tratto Siena-Chiusi, perché non occorrevano trafori o viadotti. Infatti l’unico ostacolo, facilmente superabile, era rappresentato dall’attraversamento del Fiora. Inoltre, i proprietari terrieri, in gran parte di ideologia liberale, si mostrarono disponibili a rinunciare all’indennità per il suolo concesso e i sindaci considerarono che molti lavori potevano essere realizzati dai comuni con il sistema delle “comandate”, ossia con i lavori pubblici obbligatori che avrebbero ulteriormente ridotto i costi previsti per l’opera, cioè 93.000 lire al chilometro.
I progetti per la umbro-maremmana furono curati prima da Ugo Ilari e poi da Alberto Ricci-Busatti, entrambi ingegneri di Sorano. Quando nel 1908, dopo decenni di stallo, fu presentato il piano di lavoro di Ricci-Busatti, si riscontrò un inconveniente tecnico sul tratto Orvieto-Porto S. Stefano, perché redatto in scala troppo piccola. Nonostante ciò il Comitato per la ferrovia si riunì a Roma nel 1910 e in quest’occasione vennero stabilite le quote relative a ciascun comune in base al numero degli abitanti e alla lunghezza della linea nei rispettivi territori. Manciano e Sorano dovevano versare la quota di 5.100 lire annue per mezzo secolo, Pitigliano 4.000 e Orbetello 3.250, ma quest’ultimo municipio aveva l’onere di altre 6.000 lire per il collegamento a Porto S. Stefano.
Lo scoppio della Grande Guerra impedì ogni progresso della umbro-maremmana, ma si tornò a parlare della strada ferrata nell’immediato dopoguerra, dopo il 1920, quando le amministrazioni della provincia di Grosseto erano quasi tutte di orientamento socialista. In quegli anni il progetto era stato aggiornato dall’ingegner Ugolini dello “Studio Tecnico Socialista” con sede a Roma. In conformità a tale progetto, la linea ferroviaria partiva dalla stazione di Orbetello, raggiungeva le tenute della Parrina, Polverosa e Marsiliana per seguire la valle dell’Albegna fino alla confluenza del torrente Stellata. Da qui proseguiva per Manciano, con stazione presso il Casale Stellata e attraversava il fiume Fiora in località Valle Rotonda, raggiungendo Pitigliano con stazione in località Concelli. Poi, per il Piano della Madonna, si dirigeva verso Sorano con stazione nei pressi del podere Busatti e continuava per S. Valentino e i botri di monte Palora, costeggiando la sponda destra del fiume Stridolone per raggiungere i paesi di Acquapendente, S. Lorenzo Nuovo, Castelgiorgio, Castelviscardo e infine Orvieto. Il percorso superava di poco i 114 chilometri di cui 96,309 allo scoperto e 18,411 in galleria. Il costo, per il piano stradale e i fabbricati, era di 122.500.000 lire.
Poi in età fascista non si parlò più della ferrovia (almeno non vi sono tracce nei documenti da me consultati), probabilmente perché i latifondisti locali, di cui il fascismo maremmano fu emanazione ed espressione, non furono interessati alla continuità di tale progetto. Parliamo della contessa Sereni, del marchese Ciacci e dell’Onorevole Aldi Mai (per citarne alcuni dei più noti), che avrebbero potuto fare adeguate pressioni presso il Governo centrale. Ma non fu così: la strada ferrata fu definitivamente accantonata, rimase un sogno e tale rimase anche dopo la nascita della Repubblica, quando la Maremma e il suo entroterra conobbero il nuovo sviluppo della Riforma agraria.
Franco Dominici
L’articolo è tratto da F. Dominici, Cent’anni di Storia. Sorano 1860-1960, Stampa Alternativa, Roma 2001.