I libri Effigi su Manciano, Pitigliano, Sorano.

Un’amara beffa per la Lega Campagnoli di Pitigliano. Storia di una sconfitta proletaria

“E l’uomo del quale ci occupiamo in questa sede è senza lavoro, vive nella più nera indigenza entro catapecchie dove la promiscuità, il contagio, la mancanza di qualunque norma d’igiene, minano seriamente la sua salute. Muore di stenti e vede morire i suoi bambini e i suoi ragazzi di malattie endemiche, come a Manciano, dove uno studio da me portato a termine su documenti anagrafici riferiti al quinquennio 1860-1865 dette come risultato la morte di 377 minori, di cui 162 al di sotto di un anno, nel contesto di una popolazione di appena 4.500 abitanti. L’uomo di cui ci occupiamo […] si nutre di ghiande […] come i porci e […] anche d’erbe ributtanti e animali morti comecchessia […] il grado di alfabetizzazione nelle campagne è veramente zero e nei centri abitati di poco migliore […] è letteralmente oberato di tasse, alle quali, verso la fine degli anni Sessanta, si aggiungerà quella vergognosa, iniqua, impopolare sul macinato […]; non gode di diritti civili; gli è persino negato l’esercizio regolare della caccia (diritto esclusivo dei signori) che è costretto a praticare illegalmente, di frodo; negli abitati è imprigionato dai latifondi che lo circondano e che […] gli negano ogni possibilità di lavoro”.

Quanto scritto da Alfio Cavoli[1] rispecchia perfettamente anche la situazione di Pitigliano fra la fine dell’Ottocento e il primo decennio del Novecento, quando le redini del municipio erano rette dai rampolli delle principali casate di proprietari terrieri, nel caso specifico i Ciacci, famiglia di fede liberale che primeggiava in quanto a estensione di terre e dominio politico sul territorio.

Vecchia foto di Pitigliano (fonte Wikipedia)

Vecchia foto di Pitigliano (fonte Wikipedia)

La storia che ci accingiamo a raccontare, basata su documenti dell’Archivio Centrale dello Stato di Roma[2], inizia il 2 dicembre del 1912. Quel giorno i rappresentanti della Lega Campagnoli di Pitigliano, Oreste Bechini e Pietro Bocini[3], si recarono presso l’amministratore della “Nobil Casa Ciacci” per chiedere appezzamenti di terra da seminare a granturco e grano. L’istanza si riferiva all’anno agrario 1913-1914. Al primo colloquio l’amministratore Ermete Bellocco si dimostrò favorevole a concedere i terreni, ma questa volta con la modalità dell’affitto a lunga scadenza e non più con il sistema del terratico[4], ritenuto ormai obsoleto per lo sviluppo agricolo. I rappresentanti della Lega acconsentirono e di conseguenza elaborarono un progetto contenente il prezzo annuo dell’affitto e gli interventi che a loro avviso spettavano all’Amministrazione Ciacci per salvaguardare la salute dei contadini, perché i terreni in questione si trovavano in una zona riconosciuta come malarica. Così la Lega propose la costruzione di casolari a due piani circondati da recinzioni metalliche, la messa in posa di condutture di acqua di sorgente potabile e un prezzo di affitto di 19,50 Lire per ettaro. I propositi dei leghisti furono prospettati a Bellocco nel secondo incontro, ma questi, pur ritenendo giuste le migliorie indicate, respinse il prezzo del canone d’affitto, considerato troppo basso. La Lega propose allora 21 Lire per ettaro, ma fu subito scavalcata da contadini non organizzati in nessuna associazione che ne offrirono 23, peraltro senza richiedere nessun tipo di miglioria sui terreni. Come vedremo, questi contadini, al di fuori di ogni forma di associazionismo, “spuntarono” fuori in altre circostanze della vicenda sempre in concorrenza, in competizione con la Lega dei Campagnoli[5]. Quest’ultima si vide così costretta ad alzare a sua volta il canone d’affitto a 23 Lire, proponendo 30 anni di durata dell’affitto con possibilità di rinnovo per coloro che avessero adempiuto al pagamento del canone e alla manutenzione della terra. Ma l’amministratore Bellocco respinse la proposta dei 30 anni prospettandone 12. I leghisti accettarono questa nuova scadenza, ma rilanciarono chiedendo degli eventuali rimborsi per quei lavoratori che avessero apportato tante migliorie, di cui però non avrebbero goduto i frutti a causa del ridimensionamento dell’affitto da 30 anni a 12. Ancora una volta Bellocco disse no e fece intendere alla controparte che i Ciacci avrebbero svolto i lavori di miglioria del fondo, ma solo quelli di bonifica che valutavano più urgenti, in sostanza qualche canale di scolo delle acque. I commissari della Lega dovettero modificare ancora le loro proposte, avanzando un progetto di contratto a 18 anni, questa volta accolto favorevolmente da Bellocco. Tutto sembrava andare per il meglio, anche perché alla contrattazione erano stati presenti l’On. Gasparo Ciacci e suo fratello Antonio, sindaco di Pitigliano: i figli del latifondista e nobile Niccolò. Si attendeva dunque la stipulazione del contratto, quando l’Amministrazione Ciacci pubblicò un manifestino con cui avvisava la popolazione pitiglianese della propria disponibilità a concedere terra a coloro che ne avessero fatto richiesta, in affitto oppure a terratico. La maggior parte dei contadini optò per il terratico, dunque la terra dei Ciacci fu distribuita con tale modalità, vanificando tutte le trattative della Lega, che dovette nuovamente ripiegare sul vetusto e sfavorevole contratto d’affitto.

Così la Lega dei Campagnoli chiese il Puntone del Capitano con le due valli attigue del Girasole e del Bizzarrino, in località Castelfranco. Il perito agrimensore Francesco De Carolis, per conto dell’Amministrazione Ciacci, invitò Bechini e Bocini, ma anche alcuni contadini non associati, a recarsi sul posto per prendere gli accordi. Cosa che si rivelò impossibile, proprio per la questione delle due valli, richieste da entrambe le parti interessate. Ancora una volta la Lega dovette riprendere le trattative con l’Amministrazione Ciacci, che concesse solo il Puntone del Capitano escluse le due valli. La Lega acconsentì, a condizione di avere la priorità su Girasole e Bizzarrino nel caso in cui Ciacci fosse stato disponibile a concederle. Di punto in bianco il latifondista chiese ai leghisti di poter distribuire tutto il terreno, compreso il Puntone del Capitano, ai contadini pitiglianesi. Bechini e Bocini acconsentirono, a condizione di avere a disposizione altra terra. Finalmente si giunse all’accordo, firmato il 22 gennaio del 1913: la terra assegnata, chiamata “Piana dello Stucchio”, era in località Piandimorrano. Nel contratto (firmato da Bocini, Bechini e dal Cav. Uff. Dott. Niccola Ciacci) si stabiliva che la quantità di terra doveva essere sufficiente per tutti i componenti della Lega, che il terratico ammontava a 12 staia di grano per ogni soma locale di terreno e che il grano “della corrisposta” doveva rispondere alle seguenti qualità: “asciutto, cascato, alzato a vento, di qualità mercantile, e verrà riscosso sull’aia, in un unico cantiere”.

Nel dicembre del 1913 Bocini e Bechini chiesero un incontro con l’Amministrazione, convinti che non ci fossero problemi circa la quantità di terra che, da contratto, avrebbe dovuto essere “bastevole per tutti coloro che comporranno la Lega in detto anno”, cioè il 1914. Per questo motivo Bocini e Bechini non avevano avanzato ad altri proprietari istanze per ottenere ulteriore terra da lavorare. L’approccio con l’amministratore Bellocco fu sconcertante. Questi asserì di non essere a conoscenza dell’esistenza del contratto, che gli fu mostrato dai contadini. Così in un colloquio successivo la Lega richiese 160 ettari di terra, ma Bellocco non acconsentì, perché a Piandimorrano dovevano essere sistemati anche i contadini non organizzati. La Lega propose allora 110 ettari di terra, presentando, il 2 gennaio 1914, l’elenco di tutti i componenti l’associazione con il quantitativo di terra corrispondente, soddisfacendo così la richiesta più volte avanzata dall’Amministrazione Ciacci. Ma Bellocco, in un nuovo abboccamento, non si degnò neppure di visionare l’elenco dei leghisti, proponendo loro 70 ettari di terra, come in passato, senza considerare che molta di quella di Piandimorrano era del tutto improduttiva, come rilevavano Bocini e Bechini, che per questo insistevano per 110 ettari. L’incontro terminò con una provocazione dell’amministratore, una sfida ai contadini poveri pitiglianesi, cioè con l’invito a fare causa all’Amministrazione Ciacci.

Poco dopo la Lega avviò i lavori di dissodamento e presellamento[6] del terreno in base alle esigenze degli associati. Bechini e Bocini “non credevano mai che i Ciacci, dopo aver firmato un concordato, fossero capaci di fare una brutta azione”.

Il 7 gennaio 1914 giunsero a Piandimorrano numerosi contadini non organizzati condotti “da alcune lance spezzate della Casa” per impossessarsi del terreno che la Lega aveva ripartito. I vertici di quest’ultima riuscirono in questa, e in una circostanza successiva, a impedire violenze che li avrebbero screditati. Ma non fu sufficiente, perché, come vedremo, il nobile Niccolò Ciacci intendeva accusare la Lega di aver invaso la proprietà in maniera violenta e di aver occupato terreni molto più di quanto fosse necessario.

Il 23 gennaio 1914 i rappresentanti della Lega furono citati in giudizio dal Pretore di Pitigliano. Siccome quel giorno il loro legale, l’avvocato Grilli, non era presente per impegni pregressi, chiesero il rinvio della causa, a cui si oppose il legale dei Ciacci, l’avvocato Valeri, che insistette per la continuazione, ottenendola. Furono ascoltati i testimoni, tutti dipendenti dei Ciacci o loro locatari, compreso qualcuno condannato poco tempo prima per falsa testimonianza e conosciuto in paese con il nomignolo di “Verità”.

La sentenza fu, ovviamente, sfavorevole ai lavoratori, a cui fu notificato lo sfratto dai terreni e il pagamento delle spese.

Nonostante ciò i contadini continuarono a lavorare i campi “perché abbandonare il campo voleva dire a termini chiari e semplici, levare il pane di bocca ai propri figli”.

Il 14 marzo 1914 il Pretore di Pitigliano giunse a Piandimorrano per diffidare i contadini, trattandoli in maniera sprezzante. Poco dopo, però, cercò di intavolare una trattativa con il nobile Ciacci, che si dimostrò impassibile, anche di fronte ad una commissione formata da vari consiglieri comunali per ridefinire in modo amichevole il dissidio.

I contadini non desistettero: ripresero nuovamente i lavori, ma qualcuno li informò della presenza di due carri di avena da seminare per il bestiame proprio nei terreni controversi. Fu allora deciso di giocare d’anticipo: l’8 aprile 1914 gli associati della Lega seminarono il granturco e lasciarono i campi, convinti che il proprietario non avrebbe distrutto il lavoro eseguito. Ma il nobile Ciacci ordinò la semina dell’avena sopra quella del granturco: “Sfregio maggiore non fu mai perpetrato nel nostro paese, molto più, che sul terreno che doveva produrre un genere utile agli uomini, fu rovinato per dare un prodotto tardivo che sarà adibito per il bestiame. Il giorno 10 aprile del 1914 è divenuta una data dolorosamente memorabile nella storia del martirologio proletario, per la chiara dimostrazione che l’alterigia dei signorotti non ha confine”.

In tutta la vicenda descritta, la Lega, che aveva sempre rispettato tutti gli obblighi verso i proprietari, non si era mai macchiata di atti vandalici o di altre violenze, se non dissodare un terreno e lavorarlo, che sostanzialmente significava arricchirlo. Il contratto, come si è visto, non stabiliva con precisione la quantità di terra, che però doveva essere sufficiente al numero dei leghisti, padri di famiglie all’epoca molto numerose. D’altra parte era stata la stessa Amministrazione Ciacci a chiedere quanti fossero i leghisti e quali le loro necessità. I 110 ettari richiesti dalla Lega, da ciò che si evince dai documenti, sarebbero stati divisi in appezzamenti di 1,22 ettari, quantità necessaria alla semina di 6 staia di grano. Quindi gli associati erano circa 90!

Dulcis in fundo, Oreste Bechini, presidente della Lega, fu rinchiuso nel carcere di Grosseto “per aver dato delle ipotetiche offese al Sig. Pretore di questo Mandamento”.

 

L’anno dopo molti di questi contadini furono costretti a partire per il fronte come fanti della Prima guerra mondiale. Al loro ritorno, coloro che sopravvissero, si videro elargire 1.000 lire dal nobile On. Gasparo Ciacci. Ma quelli pretendevano la terra, che era stata loro promessa al fronte, nei giorni di Caporetto e di Vittorio Veneto. Quindi la occuparono, ma trovarono il piombo della forza pubblica, il manganello e la mazza ferrata dei fascisti, foraggiati proprio dai proprietari terrieri. Nella fattispecie, da latifondisti, in primis l’On. Gino Aldi Mai, “il benefattore”, l’uomo del regime in Val di Fiora, marito di Maddalena Ciacci, appartenuta alla nobile famiglia protagonista di questa desolante vicenda.

Franco Dominici

L’autore ringrazia lo scrittore Giulio Laurenti che ha generosamente messo a disposizione il documento dell’Archivio Centrale dello Stato di Roma.

NOTE

[1] A. Cavoli, Maremma Amara. Dagli Etruschi ai Briganti. Storia curiosità folklore, Scipioni, Valentano 1996, pp. 16-17.

[2] Archivio Centrale dello Stato di Roma, Ministero dell’Interno, D.G.P.S. (1861-1981), Divisione affari generali e riservati, Archivio Generale, busta/fascicolo 442, “Per la verità e per la sincerità dei fatti nella vertenza Lega Campagnoli di Pitigliano e Amministrazione Ciacci”.

[3] Sindaco di Pitigliano nel 1920 con l’amministrazione socialista.

[4] Contratto di affitto di un terreno in cui il canone viene pagato in natura, in base a un patto stipulato in anticipo e a prescindere dalla reale quantità del raccolto realizzato.

[5] La Lega dei Campagnoli era di orientamento politico socialista.

[6] Divisione del terreno incolto quando viene messo a coltura.