Pubblichiamo l’articolo di Silvio Antonini, storico e documentalista di Viterbo.
In merito al delitto di Torindo Zannoni, avvenuto il I Maggio 1922 ad Acquapendente, non è pervenuta ai giorni nostri documentazione processuale. Non esiste, altresì, l’Archivio storico della Sottoprefettura di Viterbo, il principale complesso documentale per storia sociale e politica del territorio, nel caso specifico sino al 1927. Le informazioni di cui si dispone al momento sul posto, quindi, sono perlopiù rilevabili dalla stampa periodica dell’epoca, con l’aggiunta di elementi tramandati dalla tradizione orale e dalla memoria civile.
Pur avendo Acquapendente una via dedicata a Zannoni, nelle adiacenze del luogo del delitto, la prima trattazione approfondita del fatto storico risulta essere in un capitolo inserito in Ricordi in nero, Acquapendente nel Ventennio fascista, a cura di Marcello Rossi. È un numero d’una preziosa collana di volumi fotografici dedicati al Novecento nella Cittadina ed editati dalla Biblioteca comunale, dato alle stampe nel 2009. Qui, tra foto suggestive quanto importanti per la ricostruzione degli avvenimenti, la fonte periodica citata è soltanto “Il Giornale d’Italia”, che restituisce una ricostruzione parziale, più che altro elusiva, dei fatti.
Oggi, per quanto riguarda i giornali, rispetto al passato è agilmente disponibile “L’Avanti!”, grazie all’avvenuta pubblicazione in digitale a cura del Senato della Repubblica, per cui l’organo del Partito socialista sta divenendo una fonte ineludibile per le ricostruzioni della Storia contemporanea. E “L’Avanti!”, infatti, in più numeri si è soffermato sul delitto Zannoni.
La documentazione che si è aggiunta ci permette ovviamente di avere un quadro più circostanziato rispetto al delitto, da inquadrarsi nella Guerra civile di movimento scatenata dai Fasci con l’obiettivo di conquistare il Paese pezzo per pezzo, distruggendo le articolazioni di base, politiche, economiche e sociali d’un movimento operaio del tutto impreparato allo scontro. Questa guerra di movimento si attua, com’è in parte noto nel cosiddetto immaginario collettivo, attraverso raid, cui i fascisti d’un dato luogo si limitano in genere a fare da guida, mentre sono i colleghi delle zone limitrofe che si organizzano, soprattutto a bordo di camion – infatti i fascisti sono anche soprannominati camionisti -, e si dirigono verso il centro da colpire. Il pretesto può essere una vendetta, una commemorazione patriottica, l’apertura d’una sezione o l’inaugurazione del gagliardetto della stessa. Questi raid si concludono in genere con la devastazione delle sedi operaie, e delle istituzioni ad esse contigue, e l’occupazione dei municipi governati dai socialisti, che sono molti, soprattutto dopo le Amministrative del novembre 1920, ed anche solo dai popolari, se considerati ostili. Il gesto finale è solitamente la sostituzione della bandiera rossa che pende dai balconi dei comuni socialisti con quella tricolore, che nella guerra di movimento diviene il vessillo dei fascisti. È una guerra di fatto a colpo sicuro, già di per sé inconcepibile senza gli ingenti sovvenzionamenti della grande proprietà, che poggia sulla connivenza degli apparati istituzionali e di polizia. Fallisce, infatti, laddove questa viene a mancare, e si reclamano allora gli allontanamenti e le sostituzioni di prefetti e funzionari, ottenendoli. Anche ad Acquapendente, dove esisteva un forte e radicato movimento operaio – contadino ed artigiano, vigeva un’Amministrazione comunale socialista. Il Sindaco è Mario Regoli, che partecipa alle agitazioni sociali e politiche sul territorio. “L’Avanti!” del 27 dicembre 1921 informa difatti che egli ha beneficiato dell’amnistia a seguito della condanna per l’occupazione delle terre, assieme al “cittadino” Clito Onesti, sarto, esponente di spicco del socialismo locale e protagonista delle vicende qui ricostruite.
Sempre dalle cronache de “L’Avanti!”, abbiamo notizia dell’irruzione nel tessuto cittadino dello squadrismo fascista. Il numero del 20 maggio 1921 informa dell’arrivo di una quarantina di fascisti che si sono abbandonati a gesti di violenza contro la popolazione ed hanno chiesto le dimissioni della Giunta con l’allontanamento dalla città di Sindaco e consiglieri. In base, però, a quanto sarebbe accaduto nei mesi successivi, la Giunta deve essere rimasta in carica, o eventualmente soggetta ad un commissariamento non gradito ai fascisti.
In merito agli episodi di violenza politica, dall’Archivio della Regia procura di Viterbo sappiamo d’un fatto verificatosi durante i Patti di pacificazione, quando, nella notte del 16 agosto 1921, si consuma un “conflitto a fuoco tra fascisti e comunisti, nel quale rimane ferito un socialista al braccio sinistro, mentre tre comunisti e un fascista sono tratti in arresto dai carabinieri” (Asvt, Procura della Repubblica di Viterbo, b. 8, documenti sciolti). Invece, dal Processo per la morte, a seguito di aggressione avvenuta a Viterbo, del fascista Melito Amorosi, sappiamo, in base alla testimonianza di Francesco Carnevalini, che nel dicembre di quello stesso anno sarebbe stato inaugurato il Gagliardetto del Fascio di Acquapendente (Asvt, Corte d’assise di Viterbo, b. 216, fasc. 2.294). Segno del tentativo d’un radicamento nella cittadina comunque ancora non imminente dal completarsi.
Nel 1922, ad Acquapendente, protagonista della vita politica è ancora il Partito socialista, gigante dai piedi d’argilla, che anche nell’ambiente aquesiano vede palesarsi le sue contraddizioni. Decimato degli elementi più combattivi con la Scissione di Livorno, prossimo ad un’altra scissione, in ottobre, stavolta con l’uscita dell’ala riformista di Matteotti, Treves e Turati, ha in via ufficiale aderito al programma della III Internazionale e infatti, sulla carta e a parole, si esprime per la rivoluzione. In realtà, non si adopera per dotarsi d’una indispensabile struttura militare, né per le proclamate finalità rivoluzionarie né per l’autodifesa dinanzi allo squadrismo fascista, che pure vede nelle sedi socialiste il suo principale bersaglio. I socialisti, nonostante tutto, restano fiduciosi nell’intermediazione delle istituzioni, contando sulla propria superiorità morale ed umana rispetto agli avversari, fedeli a quell’indole neutralista che in larghissima parte avevano manifestato in guerra. Non è infatti un caso che la comprensione del fenomeno fascista e l’organizzazione necessaria per contrastarlo fosse venuta dal combattentismo e dall’arditismo di trincea, segnatamente con la nascita degli Arditi del popolo che, nel luglio dell’anno prima, avevano assestato duri colpi al movimento fascista, segnandone la prima battuta d’arresto, e che avrebbero continuato ad assestarglieli, nonostante la subitanea messa fuorilegge. La Festa internazionale dei lavoratori del 1922 va, in tutto il Paese, celebrandosi per l’ultima volta nella legalità. In carica c’è il Governo Luigi Facta, impassibile dinanzi alle forze fasciste che si stanno preparando per la grande offensiva della primavera e dell’estate, con la conquista definitiva dei grandi centri del Nord, preludio della presa del potere con la Marcia su Roma.
Ad Acquapendente tutto ha inizio il giorno prima, cioè la domenica del 30 aprile, quando il Partito socialista affigge i manifesti per la ricorrenza del giorno dopo. Nel pomeriggio giungono nella Cittadina dei fascisti forestieri che, unendosi agli elementi locali, iniziano a strappare questi manifesti “coi bastoni e nerbi di cui facevano pubblico sfoggio”.
Il mattino seguente, in corso Umberto, alcuni socialisti del posto si imbattono in un gruppo di fascisti di Sorano (Grosseto) che intimano loro di togliersi il fazzoletto rosso dal taschino. Ai soranesi si aggiungevano presto altri del vicino borgo di Onano, tutti guidati dall’aquesiano Stanislao Tassi. Le minacce si concentrano soprattutto su Clito Onesti, cui viene detto: “Noi siamo buoni a farti passare un mese all’ambulatorio”. I socialisti non raccolgono la provocazione, per non creare incidenti. L’Onesti si limita a recarsi dal Commissario di Pubblica sicurezza chiedendo di far allontanare il fascisti dal centro per evitare gravi conseguenze. Il Commissario dimostra disponibilità ma non appena vede in strada lo stesso Onesti assieme ad altri compagni ordina loro di disperdersi, in quanto si sarebbe trattato di assembramento, minacciando l’uso della forza, ed invita altri socialisti incontrati in giro a lasciare la Cittadina. Ad ogni modo, la Celebrazione del I Maggio si tiene, nelle campagne fuoriporta, com’era consuetudine, in località Buonumore, con appuntamento alle ore 13.00. Il momento è immortalato da una foto di gruppo. Una volta brindato, si pone il problema del ritorno alle case nel pomeriggio. Ci sono fascisti armati di tutto punto, lasciati del tutto indisturbati dalle forze dell’ordine mentre i socialisti, evidentemente ubbidienti alla consegna di non creare assembramenti, impartiscono il rientro alla spicciolata, di cittadini completamente disarmati.
Il primo increscioso capita a certo Duilio Squarcia, che ha caricato sul carretto la damigiana vuota, forse quella che si vede alla destra della foto di gruppo. Mentre questi è di transito al Vescovado, assieme ad altri provenienti dalla Festa, si imbatte in un manipolo di fascisti forestieri armati di bastone e guidati dagli aquesiani Alessandro e Giuseppe Grilli, che dicono: “Siete stati a prendere il fresco… Adesso sentirete”, e li aggrediscono. Le violenze si ripetono contro altri che stanno ritornando a casa. L’Onesti continuava intanto a scongiurare possibili assembramenti. Nel tardo pomeriggio, nei pressi del Cimitero, in uno dei tanti “incontri” tra i gruppi di fascisti e quanti stanno facendo ritorno a casa, sopraggiunge Torindo Zannoni. È un contadino appena tornato dall’emigrazione a New York, che non risulta iscritto ad alcun partito, con a fianco la moglie, Lucia Bataloni, ed in braccio il figlioletto. Tra i fascisti è presente un certo Enrico Buonamici, che pare avere avuto in precedenza dei dissapori di carattere personale con Zannoni. Ne nasce un alterco: Buonamici aggredisce a sassate Zannoni, che si difende a pugni ed ha la meglio. Frattanto accorrono altri fascisti in aiuto e ne viene fuori una rissa, con feriti e contusi ambo le parti.
I fascisti, che intanto avevano preso a sparare all’impazzata, si dànno alla caccia all’uomo, con i socialisti che si erano rifugiati nelle campagne: rivoltelle in pugno, minacciano e terrorizzano con soprusi e violenze la popolazione, da loro considerata ostile. Feriscono a colpi di rivoltella gli operai Guido Appolloni e Arduino Goretti. Zannoni, anch’egli riparato nelle campagne, viene raggiunto da tre fascisti di Onano, uno dei quali è indicato dalle testimonianze come certo Felicetto Carli, che lo freddano con tre colpi di rivoltella. Oltre a ciò, lo derubano di un orologio e della catenina d’oro, che una testimonianza vuole portati dall’emigrazione, per il valore di lire 700: la cleptomania si dimostra ovunque un elemento inscindibile dallo squadrismo fascista. In serata, il cadavere è rinvenuto dai Carabinieri con una ferita d’arma da fuoco al petto.
Le forze dell’ordine procedono alla perquisizione delle abitazioni dei socialisti, compresa quella del deceduto. Solo la mattina dopo, i carabinieri procedono al fermo di quattro fascisti onanesi, posti a domicilio coatto presso l’hotel Gatti, in stanze appositamente requisite.
La notizia esce sui giornali il 4 maggio. Il quotidiano anarchico “Umanità nova”, che per le tirature elevate sta preoccupando proprio “L’Avanti!”, mette la notizia in un trafiletto di prima pagina, pur con evidenti difetti d’informazione: “Un comunista (sic) ucciso ad Acquapendente. Abbiamo notizie imprecise su un conflitto avvenuto ad Acquapendente, una graziosa cittadina a nord della provincia romana infestata dallo schiavismo [altro appellativo del fascismo – N.d.A.]. Vi sono parecchi feriti ed un morto, il comunista Zacconi (sic). Attendiamo particolari”. Nello stesso giorno, a p. 6, anche “L’Avanti!” dà la notizia, anch’esso sbagliando il nome: costante protrattasi praticamente sino ad oggi. Sarà proprio il quotidiano socialista a seguire la vicenda nei mesi a venire, nella persona di Carlo De Angelis (Terracina, 2 marzo 1880 – 15 luglio 1956), maestro, avvocato, deputato e giornalista, alla ricerca della verità e della giustizia sull’accaduto, in qualità di cronista e di parlamentare. È suo l’ampio art. pubblicato a p. 3 de “L’Avanti!” del 9 maggio, con una minuziosa ricostruzione degli avvenimenti, attraverso testimonianze dirette, raccolte sul posto e firmate, nomi e cognomi di vittime e responsabili delle violenze. Da questo pezzo sono state ricavate diverse informazioni riferite alle due giornate in esame, ad ora irreperibili altrove, con le citazioni virgolettate.
“L’Avanti” del 10 maggio dà notizia dell’interrogazione parlamentare a firma di De Angelis ed altri alla Presidenza del Consiglio ed ai ministeri degli Interni e della Giustizia, segnatamente sul comportamento della Pubblica sicurezza in quel I Maggio. A rispondere, come attesta lo stesso giornale, che mette in prima pagina la notizia nel n. dell’11 luglio, il Sottosegretario agli Interni, Antonio Casertano, poi funzionario anche sotto il Fascismo, che dichiara: “Nel pomeriggio di quel giorno, quattro fascisti imbattutisi in alcuni socialisti furono da uno di essi fatti segno di violenze; accorsero alcuni compagni [dei fascisti – N.d.A.] che spararono colpi di rivoltella; fu ucciso uno dei socialisti. Due fascisti sono stati arrestati; contro gli altri due latitanti è stato spiccato mandato di cattura, e il procedimento è in corso”. Le cronache hanno termine qui. Siamo nel luglio 1922. Il 1° agosto, il fallimentare Sciopero legalitario, sulla scia del quale si ebbero comunque gli ultimi, vittoriosi, episodi contro l’avanzata fascista, tra cui quelli di Bari, Civitavecchia e, i più noti, di Parma ma, ormai, la presa del potere è questione di settimane.
Il Regime e la normalizzazione sarebbero presto arrivati, anche per Acquapendente. Tuttavia, l’elenco dei Reali carabinieri di Montefiascone del 1° novembre 1924 sugli elementi da “arrestarsi in caso di gravi disordini perché ritenuti pericolosi nei riguardi della sicurezza dello Stato”, su un centro urbano di 6.655 abitanti annovera dieci cittadini. Tra questi, Clito Onesti, con annotato il trasferimento a Genova, forse una sorta di esilio volontario per sottrarsi alle attenzioni ricevute sul posto. L’Onesti sarebbe comunque tornato sul luogo, nuovamente a capeggiare il socialismo locale nell’Italia repubblicana, come attestano ancor oggi alcune testimonianze.
Ed infatti è proprio a firma di Onesti un documento reperito dallo storico Franco Dominici. Si tratta di una lettera di risposta, datata 9 luglio 1945, del Cln aquesiano all’omologo di Sorano, che aveva chiesto informazioni, probabilmente a fini epurativi, sui responsabili del delitto Zannoni e delle violenze di quel lontano I Maggio. Qui si accenna ad un processo tenuto a Viterbo, in cui gli imputati sarebbero andati però tutti assolti.
Sabato 29 aprile 2023, in vista del I Maggio, 101° del delitto, presso il Teatro Boni di Acquapendente, promosso dalle istituzioni e delle realtà associative del territorio, si è tenuto con successo un incontro pubblico in ricordo di Torindo Zannoni, con diversi contributi di rappresentanti di enti locali ed associazioni, storici e studiosi, e l’esibizione dei Vox antiqua. L’intervento finale è spettato alla nipote di Torindo, Kathy Zannoni, venuta per l’occasione da New York.
L’incontro è terminato con lo scoprimento, effettuato dalla stessa Kathy, della targa nei paraggi del luogo dell’assassinio, che, sotto lo stemma del Comune, reca: “In prossimità di questo luogo, il giorno 1° maggio 1922, per mano di una squadra fascista, venne barbaramente ucciso Torindo Zannoni. A perenne memoria, la Comunità di Acquapendente pose. Acquapendente, 29 aprile 2023”.
Silvio Antonini