Chi si occupa della storia grossetana nel Novecento e ha letto l’articolo di Gabriele Baldanzi, dedicato alla strage fascista di Roccastrada, apparso su “Il Tirreno” il 24 luglio[1], non può non rimanere perplesso. Lo scritto sembra ricalcare perfettamente il testo di un video andato in onda su TV9, sempre, ovviamente, sullo stesso tema.
Iniziamo subito con una doverosa precisazione: all’alba del 24 luglio, dopo l’arrivo degli squadristi su due camion al bivio del Terzo, in prossimità di Roccastrada, furono malmenati non due roccastradini – tra cui Benedetto Biagioni – come dichiarato nell’articolo, ma anche Costantino Giovi, Pietro Micheletti, Arnaldo Morandi, Raffaele Vorri e Corrado Castagnini. Secondo un’inchiesta pubblicata nel 1922 dall’ “Avanti!”, furono addirittura 200 le persone incontrate per strada e bastonate dai fascisti, cosa che creò un clima di terrore e grandissima tensione fra la gente del paese.
Baldanzi ricorda le distruzioni che furono perpetrate dai “camionisti” a Roccastrada: “due ore di devastazioni”. Dopo l’attacco, i fascisti ripartirono in direzione di Sassofortino, ma, come si legge nell’articolo “[…] alcuni arditi del popolo (filocomunisti) si sono appostati al Deposito dell’acqua […] in attesa del passaggio dei prepotenti. Sono tre gli spari in direzione dei camion. Pare un agguato. È un agguato. Ivo Saletti viene colpito e ucciso”. Così i fascisti tornarono indietro, uccisero 10 persone innocenti, incendiarono e devastarono il paese.
Da quanto riportato, Baldanzi da’ per certo che l’agguato sia realmente avvenuto e che a sparare siano stati alcuni Arditi del Popolo, per giunta di una ben precisa parte politica. Il nostro autore è sicuro, evidentemente, che a Roccastrada e nel suo territorio si fossero formati dei gruppi di Arditi del Popolo, che armati e addestrati erano in grado di rispondere alle prepotenze fasciste. Vediamo cosa scrisse a tal proposito il Prefetto Boragno (che aveva attribuito l’origine di tutti i disordini in Maremma all’indole dei maremmani, per il loro orientamento politico socialista e comunista…), secondo il quale la spedizione fascista aveva avuto origine dal fatto che a Roccastrada e Sassofortino “si stavano prendendo accordi per la costituzione di squadre di Arditi del Popolo […] effettivamente in un locale della scuola elementare di Roccastrada ebbe luogo un’adunanza di socialisti e comunisti”. Quindi si tratterebbe di una riunione in cui si stabilirono accordi preliminari, che, riteniamo, siano ben altra cosa rispetto alla costituzione vera e propria di squadre di Arditi. Lo dimostra il fatto che nessuna squadra di Arditi contrastò la prima aggressione dei fascisti in paese, dove rimasero diverse ore a devastare e gozzovigliare, poi nemmeno quella successiva, cioè la strage. Lo stesso Ispettore di Pubblica Sicurezza Alfredo Paolella, inviato dal Ministero dell’Interno per vigilare sull’ordine pubblico in provincia di Grosseto (e in altri luoghi della Toscana), riferì dell’esistenza di questa riunione, ma anche di un rinvio al giorno dopo per prendere le decisioni finali. Così, attenendoci a queste testimonianze, le squadre di Arditi non erano ancora costituite il 24 luglio, o almeno non in grado di agire come seppero fare a Parma, Viterbo, Civitavecchia e Sarzana.
Altra asserzione molto discutibile nell’articolo di Baldanzi è il colore politico dei presunti Arditi, definiti filocomunisti. Da quale fonte si evince? L’unico che riferì di “un’imboscata tesa da comunisti”, senza far riferimento a nessun ardito, fu il Generale dei RR.CC. Ferré, ma su cosa basasse tale affermazione non lo sappiamo. Siamo a conoscenza, invece della simpatia, se non della connivenza, della stragrande maggioranza dei RR.CC. verso i fascisti (dovuta senz’altro anche all’uccisione di un carabiniere a Follonica nell’autunno del 1920), aspetto più volte ribadito dallo stesso Ispettore Paolella nelle sue relazioni al Ministero, sin dal suo arrivo a Grosseto il 30 giugno 1921, dalla stampa socialista e, nel caso della strage di Roccastrada, anche da quella cattolica (si veda “Il Rinnovamento” del 7 agosto 1921). Peraltro, gli stessi fascisti, scesi subito dai camion dopo la morte di Saletti, alla ricerca dei presunti colpevoli, non trovarono nessuno degli attentatori (forse perché non c’erano, forse perché non ci fu nessun agguato…). Perciò l’imboscata dei cosiddetti Arditi filocomunisti, riportata nell’articolo in questione, è solo un’ipotesi ancora tutta da verificare, non una verità storica accertata. Nell’articolo si legge la testimonianza della moglie di una delle 10 vittime, Renato Checcucci, il quale avrebbe visto “alcuni roccastradini armati andare verso il Deposito”, ma chi fossero non c’è dato di saperlo. Messa così, potrebbero essere stati anche dei repubblicani, che certo non mancavano a Roccastrada! Poi, siamo così certi che si recassero al Deposito?
Dopo aver descritto la strage, ecco il gran finale dell’articolo: “Fino al 1943 una croce ricordava l’uccisione di Saletti alla curva dell’Olmino. Oggi, per scelta, non ci sono targhe o croci nel luogo dell’innesco di questa drammatica pagina di storia”. E qui si sente davvero puzza di revisionismo! La strage di Roccastrada, di 10 cittadini inermi, alcuni addirittura ferventi antisocialisti, presi a caso (a eccezione di una delle vittime, uccisa per motivi privati, perché non aveva concesso sua figlia in moglie a uno degli squadristi assassini), sarebbe stata “innescata” da una presunta imboscata (poi vedremo cosa stabilirono i processi e quanto scrisse la stampa antifascista subito dopo) e non invece l’opera di un’accozzaglia di delinquenti ubriachi agli ordini del pluriomicida empolese Dino Castellani!
Andiamo per ordine e cerchiamo di capire, innanzitutto, cosa è stato ignorato in questo articolo di Baldanzi e quale metodo è stato adottato. La sensazione di chi legge il pezzo è che la storia di Roccastrada venga come considerata a sé stante dal contesto maremmano, come limitata al giorno dell’eccidio.
Chi, come me, prova a occuparsi di Storia del Novecento in Maremma, sa bene che gli eventi del 24 luglio 1921 vanno inquadrati almeno nella più generale aggressione alla provincia di Grosseto da parte del fascismo fiorentino e senese. In provincia di Grosseto le aggressioni iniziarono nel 1920 (una squadra di animosi mussoliniani, ad esempio, la troviamo in Val di Fiora, diretta dallo studente Goffredo Pagni già nel 1919) e finirono poco dopo la marcia su Roma, con la vergognosa bastonatura dell’ex sindaco di Castell’Azzara Domenico Lazzerini, sequestrato da casa sua il 5 gennaio 1923, portato alla casa del fascio, purgato, drogato e violentemente percosso. Questo per limitarci ai mesi appena successivi al 28 ottobre 1922, perché in realtà le violenze continuarono per l’intero Ventennio. Le aggressioni e le brutalità che stavano avvenendo in quel 1921, del tutto impunite e sostenute da agrari, proprietari di miniere, forze dell’ordine e autorità periferiche dello Stato liberale, erano ben note alla sinistra maremmana, semplicemente perché il giornale socialista “Il Risveglio” le riportava puntualmente. Ben nota era, ad esempio, la modalità dell’aggressione alla città di Grosseto, dove, si badi bene, onde evitare future false ricostruzioni degli eventi da parte di qualche giornale, i fascisti uccisero prima l’operaio comunista Savelli e solo dopo gli antifascisti ammazzarono lo squadrista Rino Daus.
Nell’articolo manca inoltre il terzo “attore”, direi un’assenza molto grave, perché il 24 luglio del 1921 non ci furono solo fascisti e cittadini di Roccastrada, ma anche le forze dell’ordine, cioè 14 RR.CC presenti nella caserma del paese, di cui Baldanzi non fa la benché minima menzione!
Il nostro autore non sa o non riporta il fatto, peraltro assai noto, che il primo luglio del 1921 i fascisti avevano già aggredito il paese di Roccastrada, distruggendo sezioni di partiti politici e abitazioni private, fra cui la casa del sindaco Natale Bastiani. I danni furono stimati in 15.000 lire e nessuno intervenne contro i fascisti (“forza pubblica presente non poté impedire i fatti”, scrisse Paolella al Ministero, che è quello che gli riferirono, perché nemmeno lui era presente a Roccastrada quel giorno). Dopo questa spedizione, gran parte dei cittadini di Roccastrada si ridusse a dormire nelle campagne! Molti avevano denunciato alle autorità le loro preoccupazioni, ma nessuno prese i provvedimenti necessari. Peraltro, il prefetto Antonio Boragno (poi avvicendato da Rocco proprio a causa della strage di Roccastrada) dichiarò di aver inviato 10 militari dell’Arma a Roccastrada, dopo i fatti del primo luglio, sebbene – riporto le sue testuali parole – “il comandante dopo pochi giorni dall’invio opinasse per il loro rientro a Grosseto”.
Quando si affronta il 1921, anno violentissimo, è indispensabile ricordare che in quasi tutti i comuni della provincia di Grosseto avevano trionfato i socialisti alle elezioni del settembre 1920. Queste amministrazioni, regolarmente, democraticamente elette, erano nel mirino dei fascisti: il sindaco Bastiani, ad esempio, era stato minacciato da una lettera del capo del fascismo toscano che lo “invitava” a dimettersi, oltre a subire un attentato da ignoti, che gli spararono due colpi di pistola una sera, mentre rientrava a casa. Allo stesso modo i fascisti spazzarono via altre amministrazioni non rosse, come quella del Partito popolare di Porto Santo Stefano, cioè con la violenza, cui si opposero, con le armi, alcuni esponenti cattolici (Stefano Palombo, che apparteneva al Circolo cattolico “Fede e Patria”, sparò contro il segretario del fascio Giuseppe Ercoli).
In riferimento alla croce per Saletti alla curva dell’Olmino, che “per scelta” oggi non c’è più, scrive Baldanzi, ricordo che quando cadde il fascismo, ovunque, nelle città e nei paesi della Penisola, furono distrutte targhe e coperte scritte che ricordavano l’infausto periodo storico. Fra le lapidi distrutte – bisogna che qualcuno se ne faccia una ragione – le prime furono quelle dei cosiddetti martiri della rivoluzione fascista. Così fu tolta la croce nel luogo in cui morì Ivo Saletti, che la notte del 24 luglio 1921 era su uno dei camion agli ordini del capo del fascismo maremmano, il pluriomicida Dino Castellani, responsabile, si diceva già allora, di ben 19 omicidi!
Conclusioni.
La Storia è una cosa seria, che richiede uno studio attento e un rigoroso confronto fra i documenti, una loro interpretazione, la raccolta di testimonianze e la comprensione della loro attendibilità. La Storia non può essere piegata alle esigenze politiche del momento o alle bizzarrie di chi s’improvvisa di punto in bianco ricercatore. Escludere il contesto del 1921 in provincia di Grosseto dalla strage di Roccastrada è un’operazione poco corretta, a voler essere buoni. È come scrivere di Foibe non considerando la più vasta e drammatica storia del Confine orientale, che culminò nell’aggressione nazifascista alla Jugoslavia del 1941, senza dichiarazione di guerra, e in tutte le violenze della successiva occupazione.
Alcune riflessioni, del tutto personali, sull’Ispettore di Pubblica Sicurezza Alfredo Paolella sono doverose. Ritengo che Paolella, alla fine di luglio del 1921, prima della strage di Roccastrada, fosse consapevole di lottare contro i mulini a vento e che la sua azione potesse essere in qualche modo vanificata, forse anche dall’alto. Per esempio, in una situazione di grande tensione quale fu quello del luglio 1921 in Maremma, chi può avere avuto l’idea di richiamarlo a Roma prima dell’eccidio e di farlo poi tornare per indagare a strage avvenuta? Al suo ritorno e dopo varie indagini a Roccastrada, l’Ispettore scrisse che le sue ricerche avevano portato a vari arresti, “uno dei quali confessò”. Ma chi? Cosa confessò? Perché Paolella, così rigoroso, integerrimo, preciso, non fa il nome di nessuno in particolare? Voglio ricordare, ad esempio, che in occasione dell’omicidio di Ruggero Pirro, un comunista pluridecorato della Grande Guerra assassinato nell’autunno del 1921 a Magliano in Toscana, per aver preso le difese di un giovane repubblicano maltrattato dagli squadristi, il sottoprefetto di Grosseto in un telegramma elencò puntualmente i nomi di tre colpevoli.
Al processo che si tenne nel 1922 per la strage di Roccastrada, furono amnistiati tutti i fascisti, compreso Dino Castellani; vennero invece condannati in contumacia a vent’anni di reclusione Gaetano Fulceri e Nello Belli, per correità nella morte di Ivo Saletti. Ovviamente il processo fu condotto da una magistratura tutt’altro che imparziale!
Nel processo del 1945-1946 emerse, scrisse la prof.ssa Maccabruni, che Saletti fosse vittima di un colpo partito dal fucile di un altro fascista, una tesi avanzata sin dall’inizio, dal 1921-‘22 dalla stampa socialista, perché gli squadristi avevano bevuto abbondantemente (e in più asportato una damigiana di marsala da un locale devastato). Ora, se è vero che, come ha scritto Hubert Corsi, “la Corte non poté mettere in dubbio che il Saletti fu colpito dall’azione di un avversario politico che si era appostato lungo la strada, perché ciò è affermato in una sentenza passata in giudicato”, noi ci chiediamo: ma la sentenza passata in giudicato è quella del febbraio del 1923? La stessa che aveva concesso la libertà a Castellani? Se è quella, non abbiamo certezze, ma solo dubbi, enormi dubbi! E siamo così sicuri che i giudici nel 1945-1946 siano altri da quelli del Ventennio?
Detto questo, ci chiediamo ancora: perché nell’articolo de “Il Tirreno” si asserisce con certezza che si trattò di un agguato di Arditi filocomunisti?
Infine: la verità storica e quella processuale non sempre coincidono. Chi scrive si sta occupando di un processo riguardante l’uccisione di un partigiano, il quale, dopo morto, fu oltraggiato da un milite della Guardia nazionale repubblicana non come compare dalle carte processuali, ma in maniera molto più bestiale. Se ci attenessimo alla documentazione processuale, non diremmo, dunque, la verità! Vero fu che quei fascisti, responsabili della morte del partigiano, furono poi amnistiati dal colpo di spugna del ministro della Giustizia Togliatti, quando però, cerchiamo di non dimenticarlo, a presiedere il governo era il democristiano Alcide De Gasperi. Solo uno di quei fascisti non poté essere processato: il grossetano Angelo Pini, detto il “tenentino”, che incontrò il piombo dei partigiani di Roccastrada mentre cercava di fuggire verso nord all’arrivo degli Alleati ed è fra gli scomparsi del “pozzo sprofondatoio” di Aratrice, proprio presso Roccastrada. Anche su di lui e sugli altri fascisti scomparsi in quei luoghi Baldanzi ha già scritto ed io, a suo tempo, ho puntualmente replicato[2].
Franco Dominici
Note
[1] L’articolo di Baldanzi del 24 luglio 2021 ha il titolo di: “L’alba di sangue dell’eccidio fascista. Cento anni dopo una ferita ancora aperta”.
[2] Franco Dominici, Roccastrada, marzo-giugno 1944, Rubrica Pillole di Storia, in Il Nuovo Corriere del tufo.