Tra l’Alta Tuscia e la Bassa Maremma non vi è paese o comunità che non porti avanti da tempo immemore una festa religiosa o spirituale, e non stiamo parlando di sagre, nelle quali lo scopo primario sia ovviamente bere e mangiare. Parliamo di manifestazioni spirituali che spesso affondano radici profonde nei secoli dei secoli e alle quali una specifica comunità rende onore senza limitazioni. Festività spesso di origine pagana, poi riadattate ai dogmi cristiani, come in particolare i Misteri di Santa Cristina o il miracolo del Corpus Domini a Bolsena, la Torciata di San Giuseppe a Pitigliano, la Barabbata a Marta, il Solco Dritto a Valentano , Sant’Isidoro a Farnese e molti altri ancora. Un evento tradizionale che tra tutti incarna l’identità e l’anima di una comunità e al quale anche quest’anno dovremo rinunciare è quello dei Pugnaloni di Acquapendente. Un evento tradizionale che risale a quasi mille anni fa, in pieno Alto Medioevo, quando l’imperatore del sacro Romano Impero, Federico Barbarossa, era in lotta con l’Italia dei comuni. L’imperatore aveva l’ambizione di costruire un impero universale, e per riuscirvi era necessario riagganciarsi alla tradizione dell’impero romano, vincere la contesa col papato per ottenere la potestà civile universale, e soprattutto ottenere il controllo territoriale dell’Italia e dei tanti comuni e feudi che la componevano. Per riuscire a governare i liberi comuni creò una rete di funzionari di umili origini e a lui fedeli, i ministeriales, spesso brutali e spietati con la popolazione. Il Barbarossa intendeva rintrodurre le Iura Regalia, ovvero i poteri fondamentali in mano all’autorità imperiale. Le regalie in Italia stavano diventando ormai sempre più autogestite dai liberi Comuni, e questo non andava certo bene all’imperatore, che negli anni organizzò tre discese in Italia per soffocare le ribellioni dei comuni e sancire il controllo imperiale sulla penisola italiana. Tuttavia seguendo l’esempio di Milano, molte città si opposero al Barbarossa, come fece Acquapendente, importante borgo dell’Alta Tuscia attraversato dalla via Francigena, dove nel 1166 la situazione era diventata a dir poco drammatica. Il ministeriale posto a comando dall’imperatore era un uomo crudele e spietato, che mandava a morte chi vi si opponesse. Il popolo era pronto ad insorgere, ma al contempo temeva le rappresaglie della guarnigione fedele al dittatore. Il malumore serpeggiava tra i paesani e non si attendeva che un segno per dar via alla lotta. Come tradizione italica vuole il segno non poteva arrivare se non dalla Madonna, e quindi il 15 di maggio 1166 due contadini di ritorno dai campi, seduti all’ombra delle scale di una chiesa a riposarsi stavano discutendo di come scacciare l’invasore. Uno era fiducioso sulla questione, l’altro scettico. Il secondo disse, indicando un ciliegio secco, che gli acquesiani avrebbero ottenuto la libertà sui germanici quando quel ciliegio avesse fiorito, cioè mai e poi mai. Ed ecco che arriva il miracolo, l’albero fiorì ed essi presi da meraviglia e stupore corsero a informare il popolo, pronti ad organizzare la rivolta. Appoggiati dalle truppe papaline ed armati di attrezzi da lavoro, i cosiddetti pungoli, attaccarono il castello, sede e simbolo del potere che li soggiogava e dopo un’aspra lotta scacciarono lo svevo, distrussero le fortificazioni e rasero al suolo il maniero, del quale oggi resta la bella torre dell’orologio (o torre del Barbarossa) e un giardino panoramico. Riottenuta la libertà venne il momento di rendere onore alla Madonna, fu così che tutti i villani arrivarono a inginocchiarsi e a portare i loro pungoli (lunghi bastoni con la punta in ferro che venivano utilizzati per incitare le bestie da lavoro) cinti dai fiori. Dopo la vittoria sull’invasore i paesani iniziarono a portare la statua della Madonna in processione seguita dai contadini che sfilavano coi pungoli adornati di composizioni floreali. E così da allora, ogni anno, la terza domenica di maggio il miracolo si ripete. Col passare del tempo la parola pungolo si modificò in Pugnalone, che ad oggi rappresenta dei pannelli di legno di circa 2,5 per 3,5 metri disegnati con splendide figure, adornati la notte che precede la festa da infiniti petali di fiori e foglie. Il tema principale dei Pugnaloni resta sempre quello originale della libertà sull’oppressione, che a distanza di mille anni rende ancora fiera la popolazione di Acquapendente. Qualche settimana prima vengono presentati i bozzetti ufficiali dei 15 gruppi dei Pugnaloni, che da li in poi nei propri spazi inizieranno la realizzazione dei lavori, guidati dai propri bozzettisti, per creare colossali combinazioni e audaci sfumature sui fiori e sulle foglie. Tutto è ponderato, dalla scelta dei petali ai trattamenti naturali per legare le varie componenti. Le tecniche di creazione e di realizzazione dei quadri si sono sempre più raffinate e gli effetti visivi che ne scaturiscono sono a dir poco meravigliosi. Inoltre il 15 maggio fu legato anche ad un altro appuntamento, quello della fiera di Mezzo Maggio, un mercato divenuto molto importante fino ai giorni nostri. Un altro elemento particolare che compone i festeggiamenti della Madonna del Fiore è l’elezione del Signore di Mezzo Maggio. Chiamato più anticamente Podestà dei Bifolchi ed eletto a sorte tra i contadini, coloro che al tempo assistettero al miracolo e che realizzarono la rivolta. Il Signore di Mezzo Maggio presenzia i festeggiamenti, rappresentando la popolazione e sfilando con un mantello nero, guanti bianchi e un cero votivo in mano. Egli porta inoltre in dono il famoso “biscotto”, il dolce tipico aquesiano, ai bambini delle scuole e ai cittadini più anziani. Anche quest’anno dovremo rinunciare ai Pugnaloni e a molti altri eventi tradizionali, ma siamo fortemente convinti che questo stop forzato non riuscirà a placare il forte senso di appartenenza di una comunità come quella di Acquapendente. Che possa restare sempre unita e per altri mille anni ricordare quanto il desiderio di libertà e di autodeterminazione siano inscindibili e fondamentali, adesso e per sempre.