Numerose notizie si tramandano a proposito delle frane avvenute nel centro storico di Sorano, specie nella prima metà dell’Ottocento e delle vittime che provocarono. In particolare, ricordiamo il disastroso crollo di parte dello scoglio di tufo su cui si ergeva la “Rocca Vecchia”[1], oggi conosciuta come “Masso Leopoldino”: il 13 febbraio 1801 una frana provocò la morte di 31 persone, la distruzione di 23 abitazioni, 7 stalle, 4 cantine, 2 stanze da telerie, un forno, vari magazzini e pollai in gran parte scavati nel tufo dello scoglio stesso. La causa del disastro fu individuata dai tecnici nella escavazione continua e incontrollata della roccia tufacea, che nel tempo ne aveva indebolito la struttura, rendendola estremamente precaria e dunque pericolosa. Il cedimento del masso e la tragica fine di 31 persone avvenne durante la dominazione napoleonica e solo dopo il ritorno dei Lorena, cioè durante il regno di Ferdinando III (per cui non è esatta la definizione di “leopoldino” riferita al masso) poté avvenire il risanamento della “Rocca Vecchia”, quindi di gran parte del borgo addossato a essa. Sostanzialmente il progetto di risanamento dello scoglio, presentato nel maggio 1820, prevedeva lo sbassamento della rupe per almeno 10-15 metri, dopo aver tagliato la cima stessa e aver ricoperto la sommità del masso con una malta speciale, per impedire le infiltrazioni d’acqua, oltre al consolidamento della base e delle grotte scavate nel tufo attraverso archi e pilastri. L’operazione, progettata dall’architetto Alessandro Doveri, fu praticamente terminata nel febbraio del 1821 e 5 mesi dopo furono consegnate nuove case a vari beneficiari[2].
Dopo l’unità d’Italia, durante l’amministrazione di Pietro Busatti, primo sindaco soranese del Regno, fu portata a compimento la costruzione dell’acquedotto Vitozza-Sorano (1862-1867)[3], della relativa fonte e della piazza antistante, che permise – per la prima volta – di uscire dai limiti del borgo medievale. Ce n’era bisogno, non solo per costruire il nuovo palazzo municipale (inaugurato nel 1901) e gli altri edifici pubblici, ma anche per l’aumento rilevante della popolazione. Fu possibile, però, costruire fuori porta soltanto alle famiglie più facoltose, data la scarsa disponibilità di risorse della stragrande maggioranza della popolazione nella seconda metà del XIX secolo. La zona intorno al “Masso Leopoldino”, nonostante il recupero del 1821, dava segni di instabilità e le amministrazioni liberali di fine Ottocento si limitarono a un controllo, cioè a normali misure di carattere amministrativo, l’applicazione delle quali divenne via via più rigorosa alla fine del secolo a causa di nuove frane, proprio nella zona a ridosso dell’antica rupe. Infatti si cominciò a esigere i progetti per qualsiasi intervento, da sottoporre all’ufficio tecnico e all’approvazione del Consiglio comunale. In particolare per l’escavazione delle cantine, della cui realizzazione i soranesi furono maestri e che assieme ai lavori di campagna rappresentò l’altro aspetto peculiare della civiltà contadina del capoluogo.
Pressante era il problema dell’incolumità delle famiglie del centro storico, particolarmente nella parte occidentale. Per questo si cominciò a parlare della necessità di case popolari e la pratica fu nuovamente proposta dal sindaco Livio Giorgi alla fine della Prima guerra mondiale e anche in quell’occasione rinviata[4]. La questione riemerse a seguito del movimento franoso iniziato a metà degli anni Venti, che si accentuò nel maggio del 1927. Lo squadrista Odoardo Poggi, amministratore della contessa Piccolomini-Sereni, divenuto primo podestà, deliberò immediatamente l’esecuzione dei lavori di consolidamento per una spesa di 27.000 lire[5]. Il tempestivo sopralluogo del Genio Civile evidenziò i limiti del progetto comunale di fronte alla gravità del problema e alla vastità del centro storico, che includeva tutta la zona sud-ovest del caseggiato di Sorano, compreso fra la piazza del Poggio, via della Rocca Vecchia, via del Borgo, Fosso del Lavatoio di Piazza della Fonte, ovvero più di 80 case. L’unica soluzione era abbandonare i fabbricati pericolanti e costruire nella zona alta del paese. Il trasferimento doveva avvenire a spese dello Stato in base alla legge 9 luglio 1908 n. 445[6]. Con il Decreto 9 maggio 1929 n. 877 il governo fascista ordinò il trasferimento degli abitanti nella parte alta del paese, verso il costruendo Parco della Rimembranza. Si trattò di un provvedimento al quale non fece seguito nessuna iniziativa da parte dello Stato: gli amministratori soranesi poterono risolvere solo le situazioni più urgenti, anticipando il denaro necessario al restauro di alcune case o alla demolizione delle mura pericolanti, rivalendosi poi sui proprietari. L’intervento più significativo fu quello deliberato dal podestà Delidio Sanità, farmacista di Sorano, nell’aprile del 1929, della pavimentazione del masso tufaceo sovrastante il paese, al fine di convogliare le acque piovane per evitare le infiltrazioni, causa principale delle frane[7]. I lavori vennero eseguiti nel 1936 in maniera pessima, poiché fu usato l’asfalto e le case addossate al “Masso Leopoldino” continuarono a essere, come rilevò il commissario prefettizio Silvio Pascucci nel 1943, “soggette a infiltrazioni che le rendono addirittura inabitabili”. Nel gennaio del 1942 il Governo promise che avrebbe provveduto a sue spese alla pavimentazione della “Rocca Vecchia”, ma “per quante sollecitazioni abbia fatte non sono riuscito ad ottenere questo lavoro”[8].
Senza soluzione rimase anche il problema delle 80 abitazioni e della zona ovest di Sorano. Nel 1939 il podestà Vincenzo Anselmi ordinò la demolizione di una casa e lo sbarramento di una delle più frequentate strade di accesso al centro storico. Nella speranza che i soranesi fossero indotti a edificare nella parte alta del paese, deliberò il parziale abbuono dell’imposta di consumo sui materiali da costruzione in base alla tipologia degli edifici: 25% di abbuono per le abitazioni di lusso, 30% per le case di tipo medio e 40% per quelle popolari[9]. Provvedimento anch’esso destinato a rimanere inefficace, data la povertà in cui viveva la maggior parte degli abitanti del centro storico, condizione che il fascismo non aveva certo migliorato. Nel 1943 ben 84 famiglie continuavano a vivere pericolosamente nella zona ovest di Sorano, in case “che minacciavano di rovinare sul fiume Lente”. Il commissario prefettizio Silvio Pascucci ottenne 350.000 lire dal “Gran Duce” per il piano regolatore e 600.000 dal Ministero dei Lavori Pubblici per il primo lotto di 2 fabbricati destinati a 24 famiglie “che occorre fare immediatamente sloggiare”. Nonostante le sollecitazioni di Pascucci al Ministero, nel giugno del 1943 i lavori non erano iniziati e questo, come asserì l’amministratore fascista originario di Manciano, “è stato per me che sento intiera la grande responsabilità che come capo dell’Amministrazione mi sovrasta…motivo di grande delusione e non ho mancato di farne le più energiche rimostranze”[10].
Sono lontani quegli anni e oggi, nonostante siano pochi coloro che risiedono stabilmente nel vecchio borgo, esso si ripopola sempre nella stagione estiva. Quasi tutte le abitazioni sono infatti restaurate e il “Masso Leopoldino”, con la sua torretta dell’orologio[11], dopo recenti interventi, è diventato una grande terrazza dalla quale si gode di un panorama bellissimo: a sud il borgo, con la Chiesa di San Nicola, più in alto la Fortezza Orsini e tutto intorno speroni di tufo ricoperti dal bosco ceduo a strapiombo sul fiume Lente. Lo stesso paesaggio che in altri tempi affascinò George Dennis e poi decine di altri visitatori.
NOTE
[1] Il toponimo “Rocca Vecchia”, con molta probabilità si riferisce alla prima fortificazione di Sorano, quando il castello con il suo borgo apparteneva alla “Terra Guiniccesca”, un feudo che si estendeva fra le città vescovili di Sovana e Castro e che solo agli inizi del XIII secolo divenne possesso degli Aldobrandeschi.
[2] Zeffiro Ciuffoletti ( a cura di), “Sorano. Storia di una comunità”, Centro Editoriale Toscano, Firenze 2002, pp. 203-206 e 216-220.
[3] Franco Dominici, Cent’anni di storia. Sorano 1860-1960, Stampa Alternativa “Strade Bianche”, Roma 2001, pp. 10-13.
[4] Archivio Comune di Sorano (d’ora in poi ACS), Protocollo Deliberazioni del Consiglio comunale, 1917-1921, 3 luglio 1920 n. 796.
[5] ACS, Deliberazioni del Podestà 1928-1930, n. 136 e 127.
[6] ACS, Deliberazioni del Podestà 1930-1932, n. 152.
[7] ACS, Deliberazioni del Podestà 1928-1930, 25 aprile 1929 n. 57 e Deliberazioni del Podestà 1930-1932, 20 giugno 1931 n. 61.
[8] ACS, Cat. 1, Amministrazione, Relazione del Commissario Prefettizio Silvio Pascucci, 1943, pag. 33.
[9] ACS, Deliberazioni del Podestà Vincenzo Anselmi, Estratto dal processo verbale del 15 giugno 1939 n. 43.
[10] ACS, Cat. 1, Amministrazione 1943, Relazione del Commissario Prefettizio Silvio Pascucci, cit., pag. 31.
[11] La costruzione della torretta dell’orologio avvenne per impulso del sindaco Pietro Busatti.