Questo articolo – mio e di Ermanno Lombardi, a cui si deve la ricerca presso l’archivio di Stato di Grosseto – vuole essere l’inizio di un’indagine più approfondita sui soldati della Prima guerra mondiale del nostro paese, in vista di un evento che coinvolga i giovani della Proloco e l’intera comunità sanquirichese. In questa occasione, ci soffermeremo a descrivere i monumenti posti a ricordo dei soldati uccisi in guerra, la triste vicenda dei fratelli Monaci e le disavventure di due militari, reduci dalla campagna di Libia e poi dalla guerra 1915-’18: Angelo Cerretani e Lorenzo Berna.
Il 31 agosto e il primo settembre 1919, in occasione dei festeggiamenti religiosi, sfilarono per le vie di San Quirico di Sorano i reduci della Grande Guerra del paese e dei dintorni, tutti rigorosamente in divisa militare. Li comandava il Tenente Felice Tavani di Montignano, ex prigioniero di guerra e mutilato, che nel 1923 sarebbe divenuto sindaco del comune, seppur per soli cinque mesi, e che finì i suoi giorni nel giugno del 1944, al passaggio del fronte, ucciso dai tedeschi in ritirata, come riferiscono i documenti dell’archivio comunale di Sorano relativi ai civili assassinati dalle truppe germaniche[1]. Suo fratello Filippo, anch’egli Tenente, probabilmente partito volontario, era morto in combattimento nel 1916 e gli era stata conferita la medaglia di bronzo al Valor Militare con la seguente motivazione: “Comandante di un plotone, lo conduceva brillantemente all’assalto, giungendo per primo ai reticolati nemici, dove, ferito mortalmente alla testa, riuscì ancora a gridare per l’ultima volta Savoia onde incitare i propri soldati a giungere fino alle trincee avversarie. Nova Vas 15 settembre 1916”.
Secondo una statistica del 31 dicembre 1918, il paese di San Quirico contava allora 1.400 abitanti ed era secondo solo al capoluogo, che sfiorava i 1.900. Dal Comune di Sorano furono mobilitati più di 2.000 giovani per la Grande Guerra e 258 persero la vita. Fra questi, 48 era originari della frazione di San Quirico. I loro nomi, più precisamente 39 di essi, furono incisi in una lapida posta in Piazza Trieste e realizzata dallo scultore grossetano Ivo Pacini (1883-1859), artista molto conosciuto nel capoluogo maremmano, che aveva esordito con un monumento all’anarchico catalano Francesco Ferrer, collocato a Roccatederighi (1914) e concluso la sua attività con il busto a Giuseppe Mazzini, terminato nel 1950 e posto sul bastione Molino a Vento delle mura medicee grossetane. La lapide di Piazza Trieste riporta la seguente data, in numeri romani: V IX MCMXX, 5 settembre 1920; sopra i nomi dei 39 caduti risalta la seguente scritta, sormontata da un’aquila ad ali spiegate, simbolo della vittoria:
“DAI QUATTRO VENTI DELLA PENISOLA
I DISCENDENTI
DI FERRUCCIO DI DANTE DI CESARE
CORSERO A GARA SUI CAMPI DELLA REDENZIONE
E RISERO IN FACCIA AI TIRANNI
ASSUEFATTI A BATTESIMI DI SANGUE
LIBERTA’ BENE INTESA
GENERI BUON SANGUE DI CIVILTA’
E DI VERA ISTRUZIONE
NELLE VENE DEI PADRI
DELLA FUTURA ITALA GIOVENTU’
E
QUI VENGANO AD ISPIRARSI
DOVE S’UNISCE
LA VIRTU’ DEI POPOLI
CON DIO”
La data nella lapide non corrisponde, però, con una testimonianza rinvenuta nel Memoriale di Don Ugo Sanità, l’allora parroco di San Quirico. In occasione del primo anniversario della marcia su Roma, il sacerdote annotava, con evidente vena polemica, quanto segue: “Per riparare all’ingiuria e allo scandalo del 25 ottobre 1919 in cui fu inaugurata laicamente la pietra commemorativa dei morti nell’ultima guerra europea, i dirigenti degli ex combattenti e del fascio chiesero al parroco di voler fare un atto di religione e oltre alla Benedizione vollero la S. Messa sul luogo[2]”. Dunque, la stele commemorativa di Pacini sarebbe del 1919 e fu sicuramente la prima posata in territorio soranese, quando a presiedere il Comune era Livio Giorgi, sindaco che era rimasto in carica per tutta la durata del conflitto. Infatti, il monumento ai caduti della Grande Guerra di tutto il Comune, collocato nel Parco della Rimembranza di Sorano, fu una realizzazione di epoca fascista, quando presiedeva il Comune Agostino Celli. La lapide di Pacini non è l’unica opera scultorea che ricordi la tragedia della Prima guerra mondiale. Nel 1963 fu inaugurato il Monumento ai Caduti, collocato in Piazza della Repubblica, realizzato dall’Amministrazione Comunale per impulso di Arnolfo Pucci. Il Monumento riporta 48 nomi di caduti della Prima guerra mondiale, i soldati morti della guerra 1940-1945 e le vittime civili dell’ultimo conflitto, fra le quali, però, vi è anche Ugolino Lombardi, che in realtà è l’unico partigiano del paese, ucciso in uno scontro armato con i tedeschi il 2 marzo 1944, insieme a due russi aggregati con lui alla banda “Reparto Lamone”. Non riteniamo superfluo ricordare, in questo frangente, che il nome di Ugolino Lombardi è compreso nel lungo elenco di combattenti della lapide posta all’interno del Palazzo della Provincia di Grosseto, cioè 155 partigiani che persero la vita per la Liberazione del territorio maremmano dal nazifascismo. Il monumento di Piazza della Repubblica è così descritto nel sito www.pietredellamemoria.it: “Gli elementi in pietra, piuttosto massicci, dal basamento alla stele stessa, sono lasciati al grezzo. La stele sui bordi e sul retro, dopo il taglio è stata bocciardata. La faccia della pietra sul fronte presenta minore ruvidezza e la sbiancatura per far risaltare le scritte realizzate con lettere in bronzo”.
I fratelli Monaci
Erano quasi tutti figli di contadini e braccianti quei 48 morti, come del resto la stragrande maggioranza dei soldati richiamati al fronte tra il 1915 e il 1918. Per gli alti comandi dell’esercito il contadino-soldato “era un soggetto ideale: quanto più sono ristrette la sua cultura e la sua mentalità, tanto più egli appare idoneo a reggere senza soffrirne troppo l’ottundimento di coscienza e l’apatia crescenti che inevitabilmente produce lo stare fermi in trincea aspettando ordini da qualcuno – non si sa quando e non si sa per fare che cosa[3]”. Fra questi, i tre fratelli Monaci, figli di Tommaso e Fastelli Maria: Orlando, Domenico ed Ernesto. Una storia tristissima la loro, una vicenda che ricorda il film di Spielberg “Salvate il soldato Ryan”, ma con un finale tragico, perché anche il quarto fratello, Pasquale, morirà poco dopo la fine del conflitto, nel 1923, in un ospedale. Riportiamo, seppur sintetiche, le vicende militari di questi sfortunati giovani attraverso i loro fogli matricolari, consultati presso l’Archivio di Stato di Grosseto. Orlando Monaci era nato a San Quirico il 28 gennaio del 1886. Chiamato alle armi il 24 ottobre del 1906 presso il 9° Reggimento Bersaglieri, fu congedato il 27 agosto del 1908. Gli fu concessa una dichiarazione di buona condotta per aver servito con fedeltà e onore. Tuttavia, non gli venne rilasciata un’attestazione per elettorato politico in quanto analfabeta. Il primo luglio 1911 era dispensato dalla chiamata perché aveva frequentato il tiro a segno Mazziniello. Richiamato il primo agosto del 1914, fu esonerato dall’istruzione perché aveva frequentato il Tiro a segno nazionale. Il 16 maggio 1915 fu richiamato nel Reggimento bersaglieri. Muore a seguito di ferite di guerra nella 33° Sezione di sanità il 13 ottobre 1916. Domenico Monaci, nato il 21 dicembre 1887, era anch’egli analfabeta. Fu chiamato a prestare il servizio militare il 2 maggio 1906. Classificato di I° categoria, fu lasciato in congedo illimitato. Chiamato alle armi con Regio Decreto del 22 maggio 1915, raggiunse il 12° Reggimento fanteria il 13 dicembre del 1915. Giunse al fronte nell’aprile del 1916 e nel febbraio dell’anno successivo entrò a far parte dell’11° Reggimento di fanteria. Morì il 13 luglio 1917, nell’ospedale da campo n. 148, in seguito a ferite riportate in combattimento. Ernesto Monaci era nato nel 1889. Assegnato al Nizza Cavalleria, morì in combattimento il 15 maggio 1916, sul Carso. Infine il quarto fratello, Pasquale, nato il 6 gennaio del 1900. Richiamato alle armi il 18 marzo del 1918, fu assegnato al 9° Reggimento bersaglieri, ma come soldato di 2° categoria, in considerazione del fatto che i tre fratelli maggiori erano morti in guerra. Trasferito al Distretto di Grosseto, venne richiamato alle armi il 6 dicembre 1920, assegnato al 2° bersaglieri con sede a Livorno e rilasciato in congedo illimitato il 13 dicembre 1920. Finì i suoi giorni nel Policlinico di Roma il 30 agosto del 1923.
Dalla Libia alle trincee della Grande Guerra
Cerretani Angelo, di Andrea e Nunzia, nacque nel 1892. Chiamato alle armi nel 1912, come bersagliere dell’11° Reggimento, fu imbarcato da Napoli per la Metropolitania e Cirenaica, regioni settentrionali della Libia, nel maggio 1913. Rientrato in Italia il 18 agosto 1913, venne trattenuto alle armi a seguito del Decreto del 18 dicembre 1914. Il 24 maggio del 1915 lo troviamo già in territorio di guerra, per rimanervi, sempre nel medesimo Reggimento, 27° Battaglione, fino al dicembre 1918. Fu mandato in congedo illimitato il 22 agosto del 1919. Gli furono concesse 80 lire e una dichiarazione di buona condotta per aver servito con fedeltà e onore. Il suo stato di servizio riporta, inoltre, quanto segue: “Ha diritto al computo di una campagna di guerra per essersi trovato per ragioni di servizio in territorio di guerra in conseguenza della guerra italo-turca”. Cerretani, e alcuni suoi parenti lo confermarono in seguito, asserì di aver soccorso Benito Mussolini, che effettivamente apparteneva al medesimo Reggimento e che, rimasto ferito, fu condotto al sicuro sulle spalle del bersagliere sanquirichese. Berna Lorenzo, della classe 1890, figlio di Vincenzo e Luisa Franci, non era quell’omone che alcuni anziani del paese sostengono fosse. Dal foglio matricolare della sua leva, risulta 164 cm, con un torace di 83 cm. Un’altezza tuttavia ragguardevole, almeno a giudicare dai dati archivistici e da un confronto con i suoi coetanei, molti dei quali al di sotto del metro e sessanta. Lorenzo Berna fu chiamato alle armi il primo ottobre 1910 come soldato di 1° categoria e nel settembre del 1911 apparteneva all’82° Reggimento fanteria, con il quale partì per la Tripolitania e Cirenaica un mese dopo. Fu congedato il 17 gennaio del 1913, per cui partecipò a tutta la guerra di Libia, ottenendo una dichiarazione che attestava di aver svolto con fedeltà e onore il proprio dovere. Ma anche per Berna la guerra non era finita. Mandato in congedo illimitato il 15 ottobre del 1914, è già in territorio di guerra nel maggio 1915. Lo ritroviamo poi come fante di marcia nel 31° Reggimento nel giugno 1917, nel Deposito scuola bombardieri di Susegana, una scuola per formare questo corpo, nata nel gennaio del 1916. Berna, come risulta da testimonianze di familiari, appartenne anche al corpo scelto degli Arditi, istituito dopo la disfatta di Caporetto e fu preso prigioniero a seguito del fatto d’armi di Col Berretta nel giugno del 1918. Col Berretta è una delle cime prossima al Monte Grappa, massiccio presso il quale fu bloccata l’avanzata austro-tedesca successiva all’autunno 1917. Dal foglio matricolare apprendiamo che Berna risulta liberato dalla prigionia il 10 novembre 1918. In realtà, dopo essere stato internato in un campo di prigionia in Romania, dove era costretto a lavorare in una miniera o forse in una cava, riuscì a scappare, con una fuga rocambolesca, assieme a un altro soldato. Dapprima a piedi, indossando scarpe fatte con pelle di animali morti e nutrendosi di mele, poi soccorso e accompagnato da una carovana Rom nella quale s’imbatté in cammino, raggiunse finalmente Trieste e la salvezza[4]. Ottenne il congedo illimitato il 16 agosto 1919 e negli anni sessanta del secolo scorso una medaglia d’oro per aver partecipato alla guerra italo-turca del 1911-’12 e a tutta la Prima guerra mondiale. Il suo pugnale di Ardito, con il quale si congedò, fu poi donato da Berna al compaesano Giuseppe Vagnoli, che per molto tempo fu norcino del paese.
di Franco Dominici e Ermanno Lombardi
NOTE
[1] “L’Ombrone”, 10 settembre 1919; per le notizie sull’Amministrazione di Tavani si veda il F.Dominici “Cent’anni di storia. Sorano.1860/1960”, Stampa Alternativa, Collana Strade Bianche, Roma 2001, pp. 111-112; sulle vittime civili della guerra in territorio soranese si veda F.Dominici “Il comune di Sorano nella guerra di Liberazione 1943-1944”, pp. 69-74.
[2] Parrocchia di San Quirico, Diario di Don Ugo Sanità, anno 1919 e successivi.
[3] Mario Isnenghi, La Grande Guerra, Giunti, 1997, pag. 57.
[4] Testimonianza di Osvaldo Berna, classe 1952, nipote di Lorenzo.