C’è un taglio netto che divide la Toscana dall’alto Lazio che è nel verde, dall’alto, del bosco del Lamone, dentro scorre quel fiume serpentino e franco che è il Fiora e che gli acquedotti non riescono a seccare. Come se l’acqua, quando ce n’è bisogno, sgorgasse dalle profondità della terra, spesso calda, come sappiamo bene. Una terra di tufo, come tagliato dalle mutazioni geologiche e poi dagli uomini che lo hanno abitato, ocra, come il colore del cotto, dei vasi che affiorano nei butti.
E verde come le macchie da cinghiali, di rovi e olivi, di elci e querce secolari. Come un pianoro ondulato e ferito, che scende dai monti Castell’Azzara e incrocia la via del mare. Grotte e cantine, città sprofondate nel verde e sotto il grande labirinto etrusco, un Olimpo rovesciato che scende nelle viscere del mondo le cui voci si avvertono nei venti intrigati di Maremma. Voci e suoni arcaici che accompagnano la vita e il cammino dei turisti, sempre cogli occhi sgranati di fronte ai nostri borghi aggrappati al tufo, circondati da selve misteriose. Poi, oltre l’immagine infera, i borghi si accendono all’imbrunire di mille luci, di sapori, del vino che ribolle nelle botti in attesa della notte, della staffetta degli equinozi e diventano, i nostri borghi incantati, presepi viventi distesi sul mu- schio e sul tufo. Bellissimi come nessun altro…
Mario Papalini