La canapa o cannabis sativa è una pianta annuale capace di raggiungere i tre – quattro metri di altezza. E’ formata da un tronco legnoso caratterizzato da una fibra resistentissima, da foglie e da sommità fiorite che soggette all’impollinazione producono semi molto nutrienti nella sfera alimentare. In molti paesi, dall’India alla Cina, dalla Jamaica al Giappone è considerata una pianta sacra, coltivata in tutto il mondo fino alla metà del secolo scorso. Fino agli anni cinquanta si coltivava in tutta la penisola italiana, in particolare in Romagna, zona nella quale si identificava una varietà di canapa ben definita, la Carmagnola. Una pianta estremamente versatile, dai mille usi, dal tessile all’alimentare, passando per l’edilizia, la carta, la bio plastica fino al settore energetico. Purtroppo quando si parla di canapa la mente si aggancia subito alla marijuana, ma come sempre è accaduto nella miglior tradizione della razza umana, a decidere le sorti sono sempre interessi privati e speculazioni senza limiti di decenza, decisi a privare la popolazione mondiale della libertà di coltivare la pianta che avrebbe e che ancora potrebbe salvare il pianeta. Esatto, i proibizionismi sfrenati che in gran parte dei paesi del globo hanno combattuto e tutt’ora combattono una guerra senza quartiere, che più che contrastare l’uso ricreativo della cannabis indica hanno avuto l’effetto (nonché lo scopo) di proibire la coltivazione della canapa industriale, altresì smantellandone l’intero apparato produttivo. L’Italia era il secondo produttore mondiale di canapa nei primi decenni del 900, e senz’altro deteneva il primato in qualità, ma si sa, i giochi di potere guardano all’interesse e non al progredire sostenibile. Fu così perciò che i cavalieri di ventura del nuovo secolo stabilirono la totale affermazione dei combustibili fossili su scala mondiale, ai danni dei prodotti derivanti dalla canapa. Ormai tutti sanno che la canapa sativa può tranquillamente sostituire il petrolio, dai carburanti alle materie plastiche, dalle funi all’edilizia, ma essa può sostituire il cotone, la carta, i telai in genere (è celebre il tentativo ben riuscito negli anni venti da Henry Ford di costruire un’automobile completamente composta di canapa). Ma gli usi di questa pianta miracolosa sono infiniti: nell’alimentazione l’olio di canapa è un perfetto integratore naturale, al contempo in grado di apportare vitamine, i grassi polinsaturi positivi e gli omega ottimamente bilanciati. La coltivazione della canapa è incredibilmente efficace nel bonificare terreni contaminati da metalli pesanti, pesticidi e solventi per mezzo del suo apparato radicale. Va detto però che la dissoluzione dell’intero ciclo produttivo della canapa ha letteralmente cancellato una decina di professioni specializzate, e altresì impedito all’Italia di dimostrare la propria qualità nel realizzare numerosi prodotti derivati dalla sativa. In bassa Maremma e nell’Alta Tuscia coltivare la canapa era consuetudine all’interno di ogni nucleo familiare, e non esisteva podere che non avesse il proprio canapaio, dove la terra era “grassa” da permettere un buon raccolto. La diffusione in Italia della canapa sativa su larga scala è avvenuta durante il Medioevo, tanto che scrittori e saggisti hanno pubblicato trattati di agricoltura, in particolare Pietro de Crescenzi nel suo Opus ruralium commodorum, opera fondamentale dell’epoca, dedica un intero capitolo alla canapa, dove riporta le tecniche generiche di coltivazione: “la canapa è della stessa natura del lino, e desidera somigliante aria e terra, ma non è bisogno ararla cotante volte; nondimeno chi desidera la canapa per funi, la dee seminare in terra grassissima, nella qual diverrà grande e avrà molta stoppa e grossa, per la grossezza della sua corteccia, e quanto più rada si semina, tanto più sarà ramoruta. Coloro che ne vorranno far panni, cioè sacca e lenzuola o camicie, la seminino in luoghi mezzanamente grassi e soluti, e spessi; né qua’ luoghi verrà senza rami, quasi in modo di gran lino, e sarà convenevole a tutte le predette cose. E ancora sarà necessaria à pescatori per far reti, perocchè la canapa meglio si difende nell’acqua che’ lino, e similmente le reti fatte di lei. Seminasi nella fine di marzo e d’aprile, e sarchisi e colle mani se ne cavi l’erbe. Cogliesi la canapa quando i semi suoi sono maturi, cioè i maschi e legata in fastelli, si pongano in un luogo due fastelli insieme, sì che l’uno seme sia sopra l’altro, e le radici dall’altra parte: e copruesi le vette del seme con erba ovvero strame, sopra la quale si pone o pietra o terra, acciocché i semi si compian di maturare; e così si lasci stare sei o otto dì, e lesisene lo strame e le pietre, e porgasi sotto o presso à semi lenzuoli, e i semi sieno scossi, i quali caggiono agevolmente. E’l canape il qual fa seme, è detto maschio, e quello che fa seme, è detto femminino. Ma il femminino il qual non ha seme, tutto per dieci dì innanzi al maschio è divelto, quando comincia a imbiancare: e poi tutto insieme si macera nell’acqua, e vi si lascia stare insino a tanto che la stoppa si parta dal legno, e’l medesimo legno infracidato può esser trito, e specialmente quel ch’è sottile; e quello il quale è molto grosso e lungo siccome pertica, si può dipolare. La stoppa agevolmente si toglie, poiché sarà macerata nell’acqua e lavata e scossa, e poscia seccata. E’ nota, che del simigliante seme nasce la canapa ramosa, la quale moltio semi produce e infiniti, e altra non ramosa, che non fa seme”. Queste direttive sono rimaste in vigore fino a tempi recenti, così come le professioni specializzate che determinavano il processo di lavorazione della canapa da fibra, che contava almeno quattordici passaggi, da compiersi a mano o tutt’al più mediante attrezzi rudimentali.
Il primo passo era ovviamente la semina, da effettuarsi in primavera, per l’appunto tra fine marzo ed aprile; ogni famiglia seminava nel terreno adibito a canapaio il quantitativo necessario per il proprio fabbisogno. Quando la pianta era pronta si procedeva all’estirpazione, estraendo la pianta con la radice, oppure tagliandola con la roncola. Poi si procedeva all’essiccazione, ruotando i balzi sottosopra dopo tre giorni, per poi passare dopo la raccolta dei semi alla fase del macero. Riguardo questa pratica sono rintracciabili numerosi editti delle autorità di molte città italiane che vietavano di macerare le piante vicino ai centri abitati, a causa dell’odore nauseabondo che emanavano e al rischio di inquinamento delle acque. La macerazione avveniva in vasche naturali o artificiali, ma venivano usate anche le acque del lago di Bolsena. Dopodiché la canapa veniva asciugata e poi battuta affinché le parti legnose si staccavano dalla fibra. Dopo averla battuta la fibra grezza veniva pettinata, così da separarla dalle impurità e renderla morbida e lucente. Acquapendente ad esempio era famosa per gli artigiani capaci di pettinare la canapa egregiamente, un lavoro faticoso ed impegnativo. Il passo successivo era la filatura, un lavoro svolto esclusivamente dalle donne, mediante il fuso o il filatoio a ruota, poi il filo una volta avvolto veniva mano a mano affinato, dipanato, incannato, ordito per poi concludere il processo di lavorazione con la tessitura di corredi, di abiti o con l’intrecciamento delle funi. Un lavoro lungo e difficile, dalla semina al prodotto finito, una notevole serie di processi che nella civiltà contadina offriva lavoro a numerose persone, definendo arti e mestieri, tutti scomparsi con l’arrivo della plastica e del nylon. Attualmente un po’ in tutta Italia stiamo assistendo a un ritorno progressivo alla coltivazione della canapa sativa, anche se in questi lunghi decenni quella cultura come la si conosceva è quasi del tutto scomparsa. Tuttavia giovani agricoltori intraprendenti stanno cercando di investire su nuove frontiere, in particolare l’olio di semi, l’olio essenziale o la bioedilizia, tanto per citarne alcune, nella speranza che si possa assistere a un incremento a macchia d’olio in Italia della produzione, degli impianti di trasformazione e della distribuzione di prodotti a base di canapa, la pianta dai mille usi che salverà il pianeta.
La Canapa dell’Aia del Tufo
Il Bio Agriturismo Aia del Tufo, presente nel territorio di Sorano, è uno dei pochi esempi nella zona del tufo di azienda agricola che ha deciso di tornare a coltivare la canapa sativa, come un tempo facevano i loro avi. Oltre alla produzione di olio di semi e di farina nei progetti futuri ci sono la creazione di una birra artigianale alla canapa e di una produzione da destinare alla bio edilizia. Attualmente una parte del raccolto all’Aia del Tufo sta per essere destinato, appena raggiunta la maturazione delle piante, alla sperimentazione di olio essenziale di canapa ottenuto mediante corrente di vapore. Coltivare la canapa è tutt’altro che facile, soprattutto perché non esistono impianti di trasformazione nel centro Italia e il rapporto tra costi e ricavi è estremamente variabile. La speranza è che pian piano la coltura si diffonda e si ritorni a produrre i tessuti naturali di primissima qualità, oltre ai numerosi usi che oggi paradossalmente fanno tendenza. Domenica 11 giugno i campi di canapa dell’Aia del Tufo sono stati trasmessi su Linea Verde Estate. All’interno del programma, oltre alle tante coltivazioni interessanti che all’Aia del Tufo si praticano, sono state raccontate le caratteristiche agronomiche e i benefici salutari che si possono trarre dall’assunzione di questa pianta.