Tutte le mattine andavo a governare i conigli alla stalla e poi ritornavo a casa.
Quella mattina del 4 Marzo 1944 andai a governare i conigli ma nel tornare a casa, vicino al forno della Biacia, vidi dei ragazzi che correvano dalla parte di Piazza Manfredo Vanni, del Poio e dell’Archetto e vidi Vittorio Camilli uscire di casa in mutande con i pantaloni in mano. Chiesi a Vittorio cosa fosse successo, lui rispose tutto allarmato “Vieni via con me, ci sono quelli del battaglione M che catturano i ragazzi!!!!”. Così andai via di corsa con lui. Si andò per le ripe dove allora c’erano le stalle dei maiali, andando più avanti si arrivò al cancello che conduceva alle sparna del Movarelli. La strada era tutta allo scoperto e dal balzolo del Cortinale i militi iniziarono a spararci contro, di corsa ci si rifugiò in un colombaio: eravamo una quindicina di ragazzi. Mio babbo, non vedendomi arrivare a casa andò alla stalla a cercarmi. Quando fu alla stalla arrivarono due militi accompagnati da Azelio Porri, allora sergente maggiore della Milizia. Azelio li convinse con molta fatica a non andare dove eravamo scappati noi, dicendogli ” Non andate giù, questi sono ragazzi che non hanno fatto nulla, sono scappati solo perché hanno avuto paura, fra di loro c’è anche mio nipote”. Così si convinsero e andarono via. Mio babbo apprezzò molto le parole di Azelio, se non ci fosse stato lui chissà cosa sarebbe successo.
Intanto la sparatoria continuava da tutte le parti, dal Cortinale, dal Pianetto e dalla Fortezza , lì non potevamo rimanere perché era molto pericoloso. Allora io, Vittorio Camilli, Attilio Sanità e Ilio Mari si decise di andare via; si scese giù per uno scivolo di tufo, con un pò di terra sopra, si fece un salto di quattro metri e ci si ritrovò nella strada di S.Monaca. Continuammo a correre. Si arrivò alla Lente, ma dalla gran paura nessuno di noi si accorse della piena. Attilio fu il primo ad attraversare la corrente della Lente e del Cercone, ma nonostante avesse un fisico forte venne trasportato via dalla piena, per fortuna si attaccò ad una salcionaia che gli permise di uscire fuori. Allora io, Ilio e Vittorio si cercò di attraversare passando nel punto di incontro delle correnti della Lente ed del Cercone, dove si formava un po’ di “fermo”. L’acqua ci arrivava al torace, eravamo tutti sporchi di terra e frasche.
Ci iniziarono a sparare dalla strada della Luce, per fortuna non ci presero. Si proseguì la strada del Cercone in mezzo alla macchia, si arrivò alla vigna di Michele Sarti, si salì il masso dove c’è un castello, si fece tutta la dorsale di tufo fino al podere di Tecla dove c’era il contadino “badiolo”. Il pover’ uomo, vedendoci in quello stato, si mise a piangere e ci disse di andare via perché se arrivavano i militi ci avrebbero ammazzato tutti; ci indicò la strada da fare: si passò sotto al Poggio fino ad arrivare alla Cavarella (allora la cava non c’era) lì c’era un tunnel che percorrendolo ci condusse alla strada provinciale.
Qui si trovò un uomo che correva. Attilio gli chiese come mai correva e lui rispose impaurito che c’erano quelli della milizia che catturavano i ragazzi. Si scese allora per le coste del Cercone e si risalì per quelle di S.Valentino e qui si trovò una grotta dove c’erano state le pecore, avevamo molto freddo così ci si asciugò fuori al solicello. Si intravide dalle coste del podere di Tecla due ragazzi che stavano venendo verso di noi, erano Angelo Forti e Domenico Cannucciari detto Mecuccio, loro non avevano attraversato la piena : si unirono a noi.
Scese la notte ed avevamo fame, si fece la conta e toccò a me e ad Angelo Forti andare a cercare qualcosa da mangiare. Si partì. Si trovò un fabbricato ma purtroppo era quello di un cimitero, “Qui non ci dà niente nessuno!”; si continuò e si arrivò in una piana, la sparatoria continuava e lì non c’era nemmeno un albero per evitare di essere un bersaglio. Io volevo tornare indietro, avevo paura, ma Angelo vide un altro fabbricato da dove proveniva il belato delle pecore.
Io insistevo che volevo tornare indietro, ma Angelo mi convinse dicendomi che eravamo vicini alla prima casa di S.Valentino.
Arrivati alla strada comunale si trovò una ragazza con un branchetto di pecore, questa vedendoci si impaurì e scappò via di corsa abbandonando il gregge. Si bussò più volte all’uscio della prima casa trovata, non rispondeva nessuno poi una voce profonda disse ”Chi è?”. Noi, impauriti, rispondemmo che eravamo due ragazzi di Sorano scappati per sfuggire al Battaglione M che catturava tutti i giovani. Ci aprirono, era la famiglia Stefani, il loro figlio Aldo aveva fatto la 5^ elementare con noi. Stavano cenando e volevano offrirci un piatto di minestra calda, ringraziando si rispose che non eravamo soli che c’erano altri quattro ragazzi che ci aspettavano in una grotta. Allora ci dettero una pagnotta di pane, tre giri di quella salciccia che avevano attaccata alla pertica. Della bontà di quella famiglia non mi scorderò mai. Si partì, si sentiva ancora sparare da lontano, ma molto meno. Quando si arrivò alla grotta i nostri amici non c’erano più … li avevano catturati? Si pensò.
Feci un fischio e uno alla volta uscirono dalla macchia dove si erano nascosti. Anche loro avevano pensato che ci avevano catturato data la tarda ora che si era fatta. Si mangiò tutto il pane e la salsiccia e andammo a riposarci nella grotta sopra a quel letame secco di pecora, ma caldo. Nella notte sopraggiunse un temporale, tuoni, lampi e grandine: avevamo molto freddo. Alla mattina ci si riscaldò a quel solicello della bella giornata che si era presentata. Si vide da lontano giù nel poggio di Tecla un uomo con un cappotto che camminava e che di tanto in tanto si fermava ad osservare. Pensammo che fosse un milite fino a quando urlò “Peppe!!!” . Era Terzilio Gallozzi detto Terzilietto del Picio che cercava suo figlio. Noi rispondemmo che Peppe non era con noi. Riconoscendoci dalla voce ci disse allora: “Venite via da lì, tornate a casa perché non c’è più nessuno, i militi se ne sono andati”.
Allora noi sei si scese la costa e si pro – segui per il Cercone . Quando si fu al ponte, alzando gli occhi, si vide molta gente appoggiata al muro della Piazza del Poio che ci fece una “smanacciata” dicendoci “Bravi!! Bravi!!” Noi sei alzammo le mani per salutarli. Si ritornò così alle nostre case dove i nostri genitori ci aspettavano con tanta ansia.
Sono trascorsi più di 72 anni dal 4 Marzo 1944, purtroppo di noi sei, cinque sono morti : Mecuccio Cannucciari, Vittorio Camilli, Attilio Sanità, Ilio Mari e Angelo Forti. L’unico in vita sono io, Maggi Albano.
Franco Dominici